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Questo articolo è stato pubblicato il 21 maggio 2014 alle ore 18:20.
L'ultima modifica è del 22 maggio 2014 alle ore 15:22.

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ODESSA (Dal nostro inviato) - Ogni giorno, dopo aver raccolto i rapporti delle pattuglie di ritorno dalle varie regioni dell'Ucraina, la Speciale missione di monitoraggio dell'Osce pubblica sul sito dell'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (www.osce.org) un aggiornamento della situazione nel Paese. È grazie a questo lavoro che squillano i campanelli d'allarme o, al contrario, si individuano segnali di speranza, come nelle tavole rotonde avviate in questi giorni.

Mentre si avvicina il giorno delle elezioni presidenziali di domenica prossima, decisive perché dovrebbero sostituire una figura eletta e riconosciuta all'attuale governo ad interim di Kiev, l'Osce assiste la Commissione elettorale ucraina nell'organizzazione di un voto tanto delicato. Ma gli osservatori della Special Monitoring Mission to Ukraine non si occupano specificamente delle elezioni. «Il nostro compito - spiega Vaidotas Verba, lituano, responsabile della Missione speciale di monitoraggio a Odessa - è osservare la situazione dal punto di vista della sicurezza». Osservare e informare, in modo obiettivo e neutrale. Creando le condizioni perchè il voto si possa svolgere in modo trasparente e tranquillo.

«Cammini per la strada - osserva Vaidotas Verba - e devi saper leggere i segnali, identificare quelli che potrebbero scuotere il normale stato delle cose». Non è un lavoro facile: spesso la normalità inganna. «Ripensando al 2 maggio scorso e al giorno prima - aggiunge Alessandro Bartolini, osservatore della missione a Odessa - non c'era nulla che potesse suggerire quanto poi è successo». Gli scontri nati su una partita di calcio, Odessa contro Kharkiv, e finiti con la morte di 48 persone: secondo l'opinione comune, per una provocazione orchestrata dall'esterno e non nata all'interno dei club di ultras che, come spiegano Verba e Bartolini, normalmente si combattono ma sull'appoggio alla protesta del Maidan sono tutti uniti in Ucraina, in una sorta di cessate il fuoco calcistico.

Per le pattuglie dell'Osce, un altro punto cruciale è stare lontano dai guai. «Non ci viene chiesto di fare gli eroi», sorride Bartolini. «Una delle priorità delle nostre missioni, qui e altrove, è la sicurezza del nostro personale - dice Verba -. Individuare la linea entro cui poter svolgere al sicuro il nostro dovere. Può essere di 10, o di 100 metri». Ed entro quel raggio, parlare e creare un contatto con chiunque.

«Superare le divergenze, rafforzare la fiducia», è il motto dell'Osce, divenuta organizzazione permanente nel 1994 per gestire il cambiamento storico avvenuto nei rapporti tra Est e Ovest con la fine della guerra fredda. E allentare le tensioni per tornare alla stabilità è la prima delle emergenze in Ucraina, dove anche la Russia (uno dei 57 Paesi membri) riconosce la necessità della presenza dell'Osce e appoggia - almeno verbalmente - la roadmap messa a punto dall'organizzazione di Vienna per dare una risposta alla crisi attraverso l'apertura di canali di comunicazione tra Kiev e le regioni e poi la decentralizzazione, la protezione della lingua russa e una parziale amnistia nell'Est del Paese.

Nei giorni successivi il 2 maggio, a Odessa, compito della Missione speciale è stato sostenere l'incontro tra le varie parti della società civile e le autorità. E ascoltare. «E quello che vedo - osserva Vaidotas Verba - è che il livello di comprensione all'interno della società ucraina è cresciuto. Su questo si basa il mio ottimismo: per prima cosa la gente sta iniziando a capire che il benessere economico e sociale dipende dalla stabilità, dalla capacità di vivere insieme anche con idee e visioni differenti. In secondo luogo, le elezioni secondo me sono sempre una buona occasione per cambiare». E l'Ucraina ne ha un enorme bisogno.

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