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Questo articolo è stato pubblicato il 23 maggio 2014 alle ore 07:43.
L'ultima modifica è del 23 maggio 2014 alle ore 07:51.

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Oggi, prima dell'interrogatorio di garanzia delle 11,30 con il Gip Olga Tarzia di Reggio Calabria, gli avvocati Carlo Biondi e Bonaventura Candido, legali di Chiara Rizzo, moglie dell'armatore latitante Amedeo Matacena, rientrata in Italia e rinchiusa nel carcere della città sullo Stretto, sapranno se il loro estremo tentativo di parlargli sarà andato a buon fine.
Biondi e Candido, infatti, hanno fatto partire questa mattina di buon'ora un fax all'indirizzo del Gip Tarzia, chiedendole di rivedere la sua posizione di assoluto divieto a ogni dialogo preventivo.

Biondi e Candido ritenevano già decorso il termine di cinque giorni di divieto di colloquio con gli avvocati, contenuto nell'ordinanza di custodia cautelare notificata a Nizza a Chiara Rizzo. Passati i cinque giorni la moglie di Matacena è rimasta ancora in Francia mentre lei intendeva rientrare in Italia per costituirsi. Il gip, di conseguenza, ha emesso un nuovo provvedimento che i legali contestano, anche perché il tempo contemplato per legge è abbondantemente scaduto e per questo hanno presentato all'ufficio del Gip un nuovo ricorso che resta appeso in queste prime ore della giornata.
Anche queste tecniche fanno parte di mosse su una partita a scacchi che appare sempre più complessa.

Infatti anche Erminio Annoni, avvocato di Roberta Sacco, segretaria di Claudio Scajola, l'ex ministro dell'Interno arrestato nella stessa operazione, ha fatto ricorso, questa volta al Tribunale del Riesame di Reggio Calabria, contro gli arresti domiciliari ai quali è stata sottoposta la sua assistita.

Nel ricorso si legge che mai ci sono stati contatti con Chiara Rizzo per iniziativa personale della sua assistita, non le è mai stato prospettato un utile, non le è mai stato promesso qualcosa, non ha amicizia o parentela alle quali tributare tutela e neppure ha un interesse a favorire Matacena. «Gli altri soggetti possono avere moventi in forza dei quali agire - scrive nel ricorso del 14 maggio Annoni - ma non certamente la Sacco… Vi è difetto di indizi, difetto di conoscenza della vicenda Matacena e difetto di consapevolezza di eventuale illiceità». Nessuna correità dunque e soprattutto Sacco avrebbe sempre svolto pedissequamente la sua attività di segretaria senza entrare mai in alcuna vicenda che esulasse da questo ruolo.

Anche questo fa parte delle mosse sulla scacchiera (l'accusa fa l'accusa e la difesa fa la difesa) ma ad un certo punto del ricorso, l'avvocato Annoni lascia andare con nonchalance, per puro scrupolo difensivo, una frase appena sviluppata. Per quello ci sarà infatti tempo in Cassazione qualora il Tribunale del Riesame non desse soddisfazione alla sua assistita.
«Occorre domandarsi se Matacena dopo l'arresto e la misura cautelare applicatagli nell'emirato di Dubai - scrive il legale a pagina 15 - poteva o meno essere ritenuto ancora latitante e quindi se si stava ancora sottraendo all'ordine di carcerazione o meno. E la risposta pare deporre nel senso della cessata latitanza».

Se avesse ragione l'avvocato cadrebbe buona parte del castello accusatorio. Matacena, che arrivava dalle Seychelles, venne arrestato all'aeroporto di Dubai il 28 agosto 2013 e rimesso in libertà, con soggiorno obbligato nella stessa Dubai e privato del passaporto, l'8 ottobre 2013. In pratica, sostiene l'avvocato Annoni, Matacena non sarebbe mai stato latitante ma, casomai, un prigioniero a tutti gli effetti visto che la sua libertà era ed è assolutamente limitata. «Ad avviso dello scrivente e come già autorevolmente ritenuto - scrive Annoni senza citare le fonti autorevoli che altro non sarebbero se non diverse pronunce in tal senso della Suprema Corte - dopo l'arresto il reato di cui all'articolo 390 del codice penale diviene impossibile poiché se vi sono aiuti e gli stessi consistono nel favorire l'evasione sussiste la fattispecie di cui all'articolo 386 del codice penale».
Fuori dal burocratese e dal linguaggio da amante dei codici, non sarebbe cioè possibile parlare di procurata inosservanza della pena (articolo 390 del codice penale), cioè aver favorito Matacena nella sua latitanza, ma casomai di procurata evasione (articolo 386) con la non trascurabile circostanza, ricorda Annoni, che evasione non c'è mai stata perché Matacena è ancora a Dubai. «Ovvio ancora che cercargli un avvocato ma la Sacco non opera in tal senso - conclude l'avvocato - non è attività illecita per la consacrazione a rango costituzionale del relativo diritto».

Sulla scacchiera del caso Matacena-Scajola, insomma, per la difesa il latitante diventa prigioniero. Non resta che aspettare la prossima mossa, da qualunque parte provenga: Procura, Tribunale o Cassazione.

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