Notizie SportGino Bartali: un grande uomo, un campione da sogno
Gino Bartali: un grande uomo, un campione da sogno
di Mattia Losi | 29 maggio 2014
Diciottesima tappa, Belluno-Rifugio Panarotta: 171 chilometri di alta montagna, di salita vera. Prima il San Pellegrino, a quota 1918, poi il Passo del Redebus per finire in bellezza con la rampa che porta al Rifugio Panarotta. Gli scalatori daranno battaglia, il percorso non ammette debolezze. È un tappa d'altri tempi, di quelle che sarebbero piaciute al campione di oggi: Gino Bartali.
Parlando di Bartali non è importante dire cosa ha vinto, ma cercare di indovinare cosa non ha potuto vincere a causa della seconda guerra mondiale. I cinque anni senza corse hanno tolto molto di più a lui che a Coppi, che ha potuto riprendere a gareggiare ancora giovane: Bartali ha lasciato sul campo il suo periodo più bello, quello della maturità. Il suo palmares sarebbe stato molto più ricco, il bilancio nelle sfide con il rivale di sempre, il Campionissimo, probabilmente diverso. Eppure Bartali è entrato nella leggenda di questo sport, ha saputo vincere prima e dopo la guerra, quando ormai lo consideravano troppo vecchio per le grandi imprese. Aveva iniziato la carriera con una tripletta mica da ridere: Giro d'Italia 1936, Giro d'Italia 1937, Tour de France 1938. I francesi ancora non lo sapevano, ma avrebbero dovuto di nuovo fare i conti con lui. Gli sfugge per poco il Giro del 1939, dove arriva secondo dietro Giovanni Valetti, ma finalmente arriva per primo sul traguardo di Sanremo.
Al Giro del 1940 è il grande favorito: in squadra con lui c'è un giovane debuttante, incaricato di aiutarlo. Si chiama Fausto Coppi. Bartali cade, per colpa di un cane che gli attraversa la strada: capisce che per lui il Giro è finito e si mette al servizio del giovane compagno che diventerà il suo grande rivale. Per Coppi è il primo Giro d'Italia.
Dopo la Guerra Bartali si ripresenta alle corse: ha ormai 32 anni. Il campione è Coppi. Per lui gli esperti, al massimo, prevedono un triste addio. Ma «l'uomo di ferro», come era stato soprannominato per la sua incredibile resistenza alla fatica, non è d'accordo. Riprende come se nulla fosse e vince il Giro del 1946, battendo Coppi per 47 secondi. Subito dopo vince anche il Giro di Svizzera: al diavolo l'età, al diavolo i pronostici. Nel 1947 è secondo al Giro, a poco più di un minuto da Fausto Coppi, ma rivince la Milano-Sanremo e il Giro di Svizzera.
Nel 1948 è di nuovo al Tour, sulle strade domate dieci anni prima. Nessuno crede che Bartali abbia una sola possibilità. È uscito malconcio dal Giro d'Italia, chiuso in ottava posizione per una caduta, e soprattuto gli italiani si presentano al via con una squadra dimessa, quasi improvvisata. E infatti, dopo 12 tappe, mentre il Tour rispetta il giorno di riposo in occasione della Festa del 14 luglio, il vecchio Gino è staccato dalla Maglia Gialla, Louison Bobet, di 21 minuti. Senza speranza, appunto. In Italia Palmiro Togliatti rischia di morire, gravemente ferito in un attentato. Il Paese è sull'orlo di una rivoluzione, per le strade si sparano i primi colpi.
Il 15 luglio il Tour affronta un tappone alpino che porta da Cannes a Briançon: si devono scalare l'Allos, il Vars e l'Izoard. Bartali, che se la bicicletta fosse stata inventata senza sella non l'avrebbe mai battuto nessuno, si alza sui pedali e parte. Da solo, infligge venti minuti a Bobet, si riporta in classifica. In Italia iniziano a seguire il Tour de France.
Il 16 luglio Bartali rivince ad Aix les Bains, dopo aver scalato Lautaret, Galibier e Croix-de-Fer. Prende la Maglia Gialla. Togliatti sta meglio, la tensione si allenta: la gente si concentra sul vecchio campione che sta confezionando un miracolo. Bartali rivince il 18 luglio, giorno del suo compleanno. A Parigi, dieci anni dopo il primo trionfo, in Maglia Gialla c'è lui.
In carriera ha vinto tre Giri, due Tour, due Giri di Svizzera. È stato per quattro volte campione italiano, ha vinto quattro Milano-Sanremo, tre Giri di Lombardia, tre Giri del Piemonte, cinque Giri della Toscana. Per 47 volte, al Giro d'Italia, è passato per primo su un Gran Premio della montagna, per sette volte ha vinto la classifica degli scalatori. Impresa che gli è riuscita per tre volte anche al Tour.
La medaglia più bella non l'ha potuta ritirare. Nel 2013, dopo la sua morte, è stato dichiarato Giusto tra le Nazioni per l'aiuto dato agli ebrei durante la seconda guerra mondiale. Fingeva di allenarsi, in realtà nascondeva nel telaio della bici i documenti che avrebbero permesso a decine di perseguitati di fuggire e di salvarsi.
L'ho conosciuto al Passo del Gavia, in uno dei suoi immancabili passaggi durante il Giro d'Italia. A un certo punto si era sparsa la voce che Bartali, sulla strada verso Ponte di Legno, stava male. D'improvviso tre, cinque, dieci macchine si erano riempite di gente pronta a portare soccorso al vecchio campione. Che stava male, sì, ma solo perchè quelle curve in macchina gli davano fastidio. Era abituato a farle in bicicletta, da solo, dopo aver staccato tutti. In diciannove anni di carriera si è ritirato solo 28 volte, un record che nessuno gli toglierà mai.