Notizie SportPer Alfredo Binda un posto d'onore nell'Olimpo del ciclismo
Per Alfredo Binda un posto d'onore nell'Olimpo del ciclismo
di Mattia Losi | 31 maggio 2014
Ventesima tappa, Maniago-Monte Zoncolan: 167 chilometri di alta montagna con la salita finale capace di tagliare le gambe di molti corridori. Se il Giro d'Italia è ancora in bilico, sullo Zoncolan si deciderà il nome del vincitore. Il campione di oggi è Alfredo Binda.
Quando si parla di campioni del passato, più ci si allontana nel tempo e meno è possibile inquadrarli con precisione. Mancano le riprese video e dalle scarse fotografie è difficile cogliere i particolari che ne hanno segnato la grandezza. Restano però le cronache, i racconti di chi ha vissuto quegli anni in prima persona e che possono testimoniare come siano davvero andate le cose. Alfredo Binda, in queste cronache, risalta come uno dei più straordinari campioni di ogni epoca: capace di rivaleggiare con Coppi e Merckx, tanto per capire di chi stiamo parlando, nella corsa al trono del più grande di sempre.
Binda arriva in Italia nel 1924 per prendere parte al Giro di Lombardia. È un emigrato, nato a Cittiglio, che da anni vive a Nizza lavorando come stuccatore. In Francia ha iniziato a correre ed è diventato professionista, vincendo in due anni una trentina di corse. Quando si presenta al Lombardia gli organizzatori sono incerti se ammetterlo alla corsa: alla fine Binda parte. Non vince, ma una buona prestazione gli vale un contratto con la Legnano: il capitano della squadra è Brunero, che ha già vinto due Giri d'Italia.
Parte così per il Giro del 1925, che non avrebbe dovuto vincere. Binda stupisce tutti sulle salite. A Milano ci arriva con la Maglia Rosa, conquistata e difesa per otto giorni: alle sue spalle Girardengo, staccato di quasi cinque minuti, e Brunero a più di sette. È l'inizio di una carriera leggendaria. Nel Giro del 1926 arriva secondo alle spalle di Brunero, ma vince sei tappe. Trionfa al Giro del Piemonte, al Giro di Toscana, per la prima volta è campione italiano.
Nel 1926 vince anche al Giro di Lombardia, in una giornata simile all'apocalisse: pioggia senza tregua, il lago straripato a Como, frane sulle strade di montagna. Ma Binda vola, e la leggenda narra di ben 34 uova fresche ingoiate per trovare le forze. Arriverà al traguardo da solo, con mezz'ora di vantaggio sul secondo.
Dal 1927 in poi il suo dominio è assoluto: mette in fila i Giri del 1927, 1928 e 1929. Troppo forte, per tutti. Gli organizzatori, alla vigilia della partenza del 1930, lo pagano per stare a casa, per lasciare spazio agli altri che finalmente potranno battersi per qualcosa di diverso dal secondo posto. Gli corrispondono una cifra in denaro pari all'ammontare massimo dei premi che si possono vincere al Giro. Basta che non corra. È la prima e unica volta nella storia del ciclismo.
In quegli anni Binda trionfa ovunque, mette nel palmares quattro Giri di Lombardia, quattro campionati italiani, due Milano-Sanremo. Per tre volte è campione del mondo: nel 1927, 1930 e 1932, stabilendo un record che verrà eguagliato solo molti anni dopo da grandissimi come Rik Van Steenbergen ed Eddy Merckx.
Nel 1933 vince la prima tappa a cronometro corsa al Giro d'Italia, da Bologna a Ferrara. Giro con cui ha sempre avuto un rapporto speciale: per sessanta giorni è stato al primo posto in classifica, e se non si può parlare sempre di Maglia Rosa è solo perchè quella maglia sarebbe stata inventata solo nel 1931. Si toglierà comunque la soddisfazione di indossarla e di portarla fino a Milano nel suo ultimo Giro vittorioso del 1933: il secondo, Joseph Demuysere, è staccato di oltre 12 minuti.
Molti i suoi record: le 41 vittorie di tappa sono state superate solo da Cipollini (a quota 42), le cinque vittorie al Giro le condivide con Coppi e Merckx, ma nessuno ha saputo eguagliare le 12 vittorie (su 15 tappe) del 1927, così come le otto tappe vinte consecutivamente nel 1929.
Si è ritirato dalle corse nel 1936, dopo una caduta nella Milano-Sanremo che gli ha causato la frattura del femore. Diventato commissario tecnico della Nazionale ha guidato al successo Bartali nel Tour del 1948, Coppi nel 1949 e 1952, Nencini nel 1960: allora la corsa francese era riservata alle rappresentative nazionali. Sia Coppi, sia Bartali, ne hanno sempre riconosciuto la grandezza e l'abilità tecnico-tattica. È morto a Cittiglio nel luglio del 1986.
Se nel 1930 avesse corso, probabilmente i Giri d'Italia in carriera sarebbero stati sei, e non cinque. Di certo, sullo Zoncolan, avrebbe staccato tutti.