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Questo articolo è stato pubblicato il 22 maggio 2014 alle ore 06:38.

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Si può misurare l'«influenza» di un brand? Secondo un'indagine Ipsos è possibile e applicando l'esercizio al mercato italiano vengono fuori risultati solo apparentemente banali. Perché se è vero che la classifica dei 10 top brand è dominata da Google, Microsoft, Samsung, Facebook – insomma i campioni dei social media e della tecnologia digitale – spiccano, come un segnale incoraggiante, la sesta e settima posizione di Parmigiano Reggiano e Nutella (addirittura davanti a un "mostro sacro" come Apple). Due marchi del più tradizionale made in Italy, in una delle massime espressioni quali l'agroalimentare, che hanno la forza di contendere ai giganti della comunicazione 2.0 l'attenzione e la fiducia dei consumatori. L'indagine svolta da Ipsos si basa su cinque concetti: affidabilità, abilità nell'"ispirare" l'interlocutore, capacità di fare tendenza, responsabilità nei confronti della società civile, presenza costante (anche con investimenti pubblicitari). Un mix complesso che, con le dovute proporzioni, vede i marchi del made in Italy ancora capaci di farsi rispettare. Basta infatti andare un po' oltre la top ten dei brand più influenti per trovare altre realtà italiane, come Mulino Bianco, Coop e Barilla. Se dall'indagine si può dunque trarre una lezione, non si può che pensare al patrimonio di riconoscibilità che l'industria italiana – anche nei settori più tradizionali – continua a possedere, anche quando si confronta con colossi internazionali come Ikea, Apple, eBay, Amazon. Una goccia di ottimismo in più in un periodo in cui misuriamo con la lente di ingrandimento ogni minuscolo segnale di ripresa.

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