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Questo articolo è stato pubblicato il 24 maggio 2014 alle ore 08:05.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 15:41.

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Le elezioni europee hanno oscurato le elezioni amministrative. Eppure il 25 maggio andranno al voto quasi 17 milioni di elettori per eleggere 4.087 sindaci e relativi consigli comunali. I comuni sopra i 15mila abitanti sono 238. Tra questi ci sono 28 capoluoghi con più di due milioni e mezzo di elettori. Inoltre si vota per le regionali in Piemonte e in Abruzzo.

Insomma si tratta di un testo elettorale significativo soprattutto perché si svolge contemporaneamente a quello per il Parlamento europeo. Questa coincidenza ci permetterà di confrontare il comportamento degli elettori italiani in arene diverse, con offerte elettorali diverse e con poste in gioco diverse. Quasi un esperimento di laboratorio. Ma questa analisi è per il dopo voto. Cosa si può dire ora sulle tendenze politiche a livello locale dopo tutto quello che è successo a livello nazionale a partire dal 25 febbraio dell'anno scorso? A questa domanda possiamo rispondere al momento solo prendendo in esame i 28 comuni capoluogo e le due regioni citate. Cominciamo dai primi.

I 28 comuni non sono un campione rappresentativo dell'universo dei comuni italiani. I comuni del Nord sono solo sette. Quelli del Sud otto. Gli altri 13 appartengono a quella zona che una volta si chiamava rossa e che ora chiamiamo "centro". Comprende Emilia-Romagna, Toscana, Marche e Umbria. La sovra-rappresentazione dei comuni di questa zona, in cui il Pd ha sempre dominato, fa sì che nel computo complessivo di vittorie e sconfitte nelle elezioni precedenti il centrosinistra superi il centrodestra: 16 comuni sono andati nel 2009 al primo schieramento e 12 al secondo. È più interessante il dato per zona. Negli otto capoluoghi del Nord il centro-sinistra ha vinto solo a Padova. Al Sud la partita è finita in parità, 4 a 4. Nella ex-zona rossa il centrodestra è riuscito a spuntarla in due comuni, Ascoli Piceno e soprattutto Prato. Come finirà domani?

Sono passati cinque anni dalle ultime elezioni. Gli schieramenti di centrosinistra e di centrodestra sono ancora lì, tutto sommato riconoscibili, nonostante scissioni, ricomposizioni e liste civiche di varia natura. Sel sta con il Pd quasi dappertutto, insieme a Centro democratico e varie altre sigle di sinistra variamente combinate. Solo al Sud si vedono Sel e Udc insieme in qualche caso. Nello schieramento di centrodestra il Ncd di Alfano sta quasi sempre con Berlusconi. Mai con il Pd. Qualche volta da solo o in altra compagnia. Lo stesso vale per la Lega. Fdi-An è l'alleato più fedele di Fi. Nel complesso il quadro è quello noto.

La vera novità, rispetto al 2009, è Grillo. Il suo movimento è presente in tutti i 28 comuni del nostro insieme. Sempre da solo. Nel passato i suoi candidati non sono andati bene a livello locale. Questa volta è diverso perché si vota anche per le europee. Gli stessi elettori che voteranno il M5S nel voto europeo faranno la stessa cosa a livello comunale? Il voto europeo per le sue caratteristiche rappresenta il contesto più favorevole per un movimento come quello di Grillo mentre è il contrario per il voto comunale. A livello locale contano di più i candidati, l'organizzazione, le reti di clientele. Sarebbe un fatto nuovo di grande rilievo se il 26 maggio si scoprisse che non è più così.

Un altro elemento significativo saranno i ballottaggi. Nel 2009 nei 28 comuni capoluogo sono stati 12. Ma non c'era Grillo. Quanti saranno oggi? È molto probabile che saranno di più. È una delle conseguenze del tripolarismo. L'altra è che molti elettori saranno costretti a scegliere al secondo turno se andare a votare per un candidato che non è quello che avevano scelto al primo. Cosa faranno gli elettori di Berlusconi laddove ll loro candidato non vada al ballottaggio? Voteranno il candidato di Grillo come hanno fatto a Parma a favore di Pizzarotti nel 2012? E cosa faranno gli elettori del M5S nel caso in cui il loro candidato resti fuori dalla competizione? Dalla risposta a queste domande si capiranno molte cose su quello che sta avvenendo all'interno del corpo elettorale in questi tempi di cambiamento.

Dai comuni alle regioni. Da un sistema a due turni a un sistema a un turno solo. Vince chi ha un voto più degli altri.

In Piemonte l'esito sembra scontato quanto alla vittoria di Sergio Chiamparino. Qui pesa non solo la popolarità del candidato del Pd ma anche il fatto che il centrosinistra è unito e la destra è invece divisa. Infatti, accanto a Gilberto Pichetto di Fi, ci saranno anche un candidato di Fdi e un candidato di Ncd-Udc. Ma anche Chiamparino potrebbe avere un problema. Due sentenze della Corte costituzionale hanno cambiato il sistema elettorale piemontese. A differenza di quanto avviene in altre regioni il sistema non garantisce più la maggioranza assoluta dei seggi a chi arriva primo. Chiamparino se la dovrà conquistare grazie ad un buon risultato delle sue liste. Altrimenti dovrà allargare la sua coalizione ad altri partiti dopo il voto. Non così invece in Abruzzo dove l'esito della competizione è più incerto, ma si sa già che il vincitore non dovrà fare accordi post-elettorali. Qui chi vince governa. Centrodestra e centrosinistra sono sostanzialmente uniti e questo rende la partita più incerta, ma di questi tempi nulla può darsi per scontato. Il terzo incomodo è sempre il partito di Grillo che alle ultime politiche qui ha preso il 29,9% dei voti contro il 29,5 % della coalizione di Berlusconi e il 26,2 % di quella di Bersani.

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