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Questo articolo è stato pubblicato il 24 maggio 2014 alle ore 08:00.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 15:41.
Pochi luoghi sono simbolici per la cristianità come il Santo Sepolcro di Gerusalemme, al pari della Natività di Betlemme (e anche di San Pietro). Ma la Basilica costantiniana, che la tradizione indica come il sito dove fu crocefisso e poi seppellito Gesù, è anche il luogo simbolo delle divisioni all'interno delle confessioni cristiane. Proprio lì, dove le differenze tra le varie famiglie cristiane sono nette e spesso aspre, Papa Francesco presiederà l'evento principale dell'intero viaggio in Terra Santa, che partirà questa mattina e si concluderà lunedì notte. Già, perché Bergoglio, prima di ogni altra cosa, ha voluto che il viaggio fosse un vero pellegrinaggio, cercando di svuotare ogni evento da simbolismi politici facilmente strumentalizzabili in un momento in cui le tensioni tra israeliani e palestinesi stanno nuovamente salendo di gradazione dopo l'accordo tra Fatah e Hamas.
Nel Santo Sepolcro convivono tutte le confessioni cristiane in una sorta di pace "vigile" regolata dal 1852 da un rigido protocollo tra greco-ortodossi, cattolici (i francescani della Custodia) e armeni, con siriaci, copti ed etiopi in posizioni più defilate, che fissa i confini di competenza dentro il sito e gli orari delle celebrazioni. Proprio sotto le volte della basilica il Papa, il patriarca ortodosso di Costantinopoli, Bartolomeo I, e i rappresentanti di tutte le confessioni cristiane terranno una celebrazione ecumenica, per il 50° anniversario dell'incontro a Gerusalemme tra Papa Paolo VI e il Patriarca Atenagora, primo viaggio fuori Italia in era moderna. Francesco punta molto sul tema del recupero del dialogo con gli ortodossi, dopo un lungo periodo di gelo o comunque di scarsa attenzione. Ma i tempi sono cambiati, il patriarca russo Kirill è molto attivo anche in campo religioso-diplomatico, il dialogo del Vaticano con Mosca – pur tra alti e bassi, vista la crisi ucraina – sta generando nuove prospettive, e forse solo una personalità come il Papa argentino, leader globale riconosciuto da oriente a occidente, può creare le condizioni per una storica visita a Mosca.
Ma un viaggio in Terra Santa è un mosaico complesso, dove ogni spazio ha un significato. Prima di tutto l'ebraismo. Bergoglio da cardinale aveva uno stretto dialogo con i rabbini a Buenos Aires, che è proseguito da Papa, in particolare con l'amico argentino Abraham Skorka, che farà parte del seguito ufficiale del viaggio, insieme all'esponente musulmano, anche lui argentino, Omar Abboud. È la prima volta che accade, e questo gesto è stato accolto con grande favore dalle due comunità religiose come un segno di straordinaria apertura al dialogo interreligioso, che infatti sta segnando dei piccoli passi avanti.
Naturalmente non tutti sono d'accordo: nei giorni scorsi gruppi di ebrei ultraortodossi hanno protestatato per la messa che il Papa celebrerà al Cenacolo, dove la tradizione dice che vi si tenne l'Ultima Cena. L'edificio, acquistato nel 1335 dai francescani con i soldi del Re di Napoli (i frati furono poi espulsi dagli ottomani nel 1523) dal 1948 è di proprietà dello Stato di Israele, e inoltre al piano inferiore gli ebrei venerano la Tomba di Davide. Insomma, un altro luogo-simbolo di contesa, sul quale da anni Santa Sede e Israele stanno trattando per arrivare ad un accordo che preveda l'uso da parte dei cattolici per le celebrazioni, ora vietate (quella del Papa di lunedì prossimo è un'eccezione, come lo furono per Giovanni Paolo II e Benedetto XVI).
Un accordo non sembra vicino, così come sugli altri dossier sul tavolo dei due Stati, soprattutto riguardo al trattamento fiscale dei beni della Chiesa. Bergoglio ha ridotto al minimo la durata del viaggio – qualche polemica è stata fatta in Israele per il programma giudicato troppo stringato – ma ha inserito un elemento che ne contrassegna una novità: deporrà dei fiori al Monte Herzl prima di andare al Memoriale di Yad Vashem. Si tratta di un omaggio importante (previsto dal cerimoniale israeliano) al fondatore del sionismo Theodore Herzl, a cui un altro Papa, Pio X, nel lontano 1904 disse che non solo non era d'accordo con l'idea del "ritorno" degli ebrei, ma aggiunse che «se lei andrà in Palestina e il suo popolo vi si stabilirà, noi vogliamo essere pronti, chiese e preti, per battezzarvi tutti». Ma anche attenzione al popolo palestinese – con l'incontro a Betlemme con il presidente Abbas – e ai musulmani con la visita alla Spianata delle Moschee e al Gran Muftì, ma anche e soprattutto ai bambini e ai rifugiati sia in Giordania che a Betlemme.