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Questo articolo è stato pubblicato il 24 maggio 2014 alle ore 08:13.

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L'industria fa quadrato sulle etichette e le «barriere non tariffarie» all'export. Un binomio di misure che rischia di penalizzare le imprese con costi crescenti. Così il presidente di Federalimentare, Filippo Ferrua, boccia l'etichetta d'origine come «impossibile da realizzare perché il made in Italy è fatto anche di materie acquistate all'estero» mentre il vice presidente di Confindustria e numero uno di Assica, Lisa Ferrarini, sollecita la rimozione del «100% reinspection» ossia il blocco dei salumi alle frontiere degli Stati Uniti per controlli sanitari.
È passato ormai un anno da quando Washington ha eliminato i divieti per i prodotti a breve stagionatura, come salami, coppe e pancette. Una decisione solo formale alla quale si è subito contrapposto un rallentamento nelle procedure di sdoganamento per la mancata armonizzazione delle norme sulla sicurezza alimentare. A luglio è fissato l'appuntamento che potrebbe mettere pace tra le due sponde dell'Atlantico. «L'industria ha risposto prontamente alla richiesta degli Stati Uniti di conformare il proprio sistema produttivo e di autocontrollo alle disposizioni americane – spiega il direttore di Assica, Davide Calderone a margine della conclusione del tour Salumiamo con Bacco – ed è pronta a ricevere gli ispettori del Food safety and inspection service. Confidiamo che questa sarà l'occasione per dare nuovamente il via libera a tutte le spedizioni di salumi italiani».
Intanto le spese di deposito calcolate su base giornaliera continuano a crescere mentre restano una chimera gli oltre 12 milioni di salami, pancette e culatelli che si sarebbero dovuti aggiungere al controvalore di 73,5 milioni (6.330 tonnellate) già raggiunto dalle spedizioni di salumi negli Usa. E nello spazio di mercato lasciato libero crescono i prodotti «contraffatti» che richiamano nel nome le specialità italiane. Ed è questa un'altra tipologia di barriera commerciale. Molti paesi, infatti, negano la registrazione dei marchi Dop laddove esistano prodotti simili già registrati. Per rimuovere l'ostacolo l'Europa sta procedendo ad accordi bilaterali nei quali trovano un riconoscimento legale anche le specialità con il marchio Ue. Ma accade, per esempio, che nella prima bozza dell'intesa tra Ue e Cina ci sia spazio solo per i Prosciutti di Parma e San Daniele e la Bresaola della Valtellina su oltre 100 prodotti della salumeria certificati. «È auspicabile – spiega il direttore dell'Istituto italiano salumi tutelati (Isit), Gianluigi Ligasacchi – che le istituzioni si coordino con il territorio e i Consorzi per scrivere liste adeguate. In Cina, per esempio, primo consumatore mondiale di carni suine, avrebbe grandi potenzialità di mercato la Mortadella Igp. E' un'occasione da non sprecare».
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