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Questo articolo è stato pubblicato il 28 maggio 2014 alle ore 11:04.
L'ultima modifica è del 28 maggio 2014 alle ore 14:23.

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A due giorni dalle elezioni europee che sanciscono una presenza degli euroscettici non più numerosa del passato ma certamente più significativa con lo sfondamento del Front National di Marine Le Pen in Francia e dell'Ukip di Nigel Farage in Gran Bretagna, entrambi vicenti e primo partito, si pone il problema della presidenza della Commissione Ue. Sul nome del lussemburghese Jean-Claude Juncker, candidato del Partito popolare che mantiene la maggioranza dei seggi nel nuovo europarlamento, i rappresentanti del 28 Paesi sono divisi. Sembrano tutti d'accordo però che è ora di rivedere le politiche Ue.

Nonstante la cancelliera Merkel ricordi che il trattato di Lisbona sgancia la nomina della Commissione dalle elezioni, il premier Cameron, con l'Ukip alle calcagna, fa sapere che l'Europa non può ignorare il risultato delle elezioni, come vorrebbero fare i tedeschi: deve cambiare, concentrarsi su crescita ed occupazione e non interferire nelle politiche interne degli Stati membri. Soprattutto, Cameron ha fatto capire di non essere un supporter di Juncker e cerca una sponda in Svezia, Ungheria, Olanda, che pure vorrebbero un'altra soluzione.

I leader oggi riuniti in un vertice informale prendono tempo, vogliono negoziare sul nome del candidato, e affidano al presidente dell'Ue Herman Van Rompuy il mandato per dialogare con i nuovi gruppi del Parlamento, che però non si formeranno prima del 24 giugno. Il processo per scegliere il sostituto di Barroso potrebbe dunque prendere più tempo del previsto.

Iter e tempi
La notte scorsa i leader dell'Ue hanno dato un mandato al presidente del Consiglio Europeo Herman Van Rompuy di avviare consultazioni con i gruppi politici che comporranno il nuovo europarlamento con l'obiettivo di arrivare a proporre un nome per la presidenza della Commissione. La formazione dei gruppi dovrebbe avvenire entro la fine di giugno, ed è quindi probabile che i capi di Stato e di governo possano già esaminare la proposta nel vertice del 26 e 27 giugno. A quel punto, il candidato dovrà essere votato dall'assemblea di Strasburgo, in una delle due sessioni plenarie di luglio.

Durante la conferenza stampa Van Rompuy non ha nominato Juncker.

Merkel possibilista: abbiamo bisogno dei socialdemocratici
Il cancelliere tedesco Angela Merkel lascia aperte tutte le possibilità sulla nomina del nuovo presidente della Commissione europea, sottolineando che la decisione deve essere condivisa tra Parlamento europeo e Consiglio, come stabilisce il trattato di Lisbona. Pur riconoscendo la vittoria del candidato popolare, Jean-Claude Juncker, Merkel apre ai socialdemocratici: «abbiamo bisogno di loro, dopo tutto». A chi le chiede quali sono le possibilità del candidato socialdemocratico, Martin Schulz, di avere un ruolo nella prossima Commissione, il cancelliere tedesco risponde: «non escludo niente, e non do nulla per certo» sottolineando che è ancora presto per una decisione, ma che si deciderà prima dell'estate.

Merkel aggiunge che sarebbe una violazione dei trattati se la nomina del presidente della Commissione fosse «automaticamente» collegata alle elezioni, visto che il trattato di Lisbona prevede un ruolo anche per il Consiglio europeo nel processo della nomina.

Hollande appoggia il socialista tedesco Schulz
«Tocca a Van Rompuy vedere se ci sono le due maggioranze, quella assoluta al Parlamento e quella qualificata al Consiglio, sulle proposte del Ppe» per la presidenza della Commissione ma «se non c'è, dovremmo vedere se chi non ha vinto, ossia Schulz, riesce al contrario a trovarle» dice il presidente francese Francois Hollande, che non ha mai citato il nome di Juncker. Hollande cerca la sponda dell'italiano Renzi, unico leader forte di un partito europeista e di sinistra a Bruxelles nel post-elezioni: «La vittoria elettorale di un partito europeista come il Pd del premier italiano Matteo Renzi dimostra che esiste ancora una fiducia dei cittadini nell'Unione europea».

La corsa a ostacoli di Juncker
Quella di Juncker è una corsa e ostacoli e lo si capisce fin dall'endorsement della Merkel che suona più come un atto dovuto che come un sostegno realmente convinto a quell'ex premier lussemburghese che criticò aspramente le sue ricette a base di austerità prima di dimettersi dalla presidenza dell'Eurogruppo. C'è poi l'aperta opposizione dal britannico David Cameron, che sta già arruolando altri leader per bloccare il candidato Ppe, e c'è infine la partita su tutte le altre nomine europee che vanno fatte entro l'anno e che vanno calibrate su quella del presidente della Commissione.

La partita si gioca su due fronti, e il secondo è quello del Consiglio, tutt'altro che convinto dal nome scelto dal Parlamento. Junker è "il nostro candidato di punta" ma bisognerà trovare "ampie maggioranze", perché "sappiamo che nessuno dei gruppi politici da solo ha la maggioranza", ha detto la Merkel. Un modo per dire che il nome di Juncker non è poi così scontato.

I leader dei 28 Stati e il Parlamento hanno comunque tempo fino a ottobre per trovare un accordo sul prossimo presidente della Commissione, che deve avere la maggioranza assoluta del Parlamento e quella qualificata del Consiglio.

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