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Giro d'Italia, che emozione il sardo Aru, secondo nella cronoscalata dietro Quintana

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Che meraviglia. Che grinta. Che fenomeno questo tamburino sardo che non si arrende mai. Che non ha paura di nessuno. Che il traguardo quasi se lo mangia. Che pensa in grande ma parla in piccolo. Che è già dentro il presente ma è lanciato verso il futuro. Che fa dimenticare le tante pagine scure del ciclismo. E che forse, se continuerà così, lo riporterà nel cuore dei tifosi e degli appassionati.

Fabio Aru, 24 anni, sardo che vive vicino a Bergamo, nella cronoscalata del Grappa fa quasi un miracolo. Arriva secondo, dietro all'ineffabile Quintana, sale al terzo posto della classifica, ma è come se avesse scalato il Paradiso.

Alla fine della prova, tra i due, ci sono solo 17 secondi. Un'inezia dopo un calvario di più di un'ora. E dopo quasi 20 chilometri asfissianti in cui Fabio, sgretola tutta la concorrenza. Ad Uran rifila più di un minuto. A Rolland quasi due. Al polacco Majka circa quattro. Ad un certo punto addirittura lo sorpassa. Uno sguardo e via. Scusami, ma oggi ho molta fretta, ci rivediamo dopo, su in cima.

E in cima, dopo il traguardo, dopo quel massacro, parla come se fosse salito in ascensore. «Grande impresa? Sinceramente, non me l'aspettavo neppure io. Sono contento per tutto il lavoro che ho fatto questo inverno. Se voglio fare di più? Non so, vivo alla giornata. Mancano ancora due tappe, vedrò cosa si può fare...». Una giornata indimenticabile. Sulle montagne della Grande Guerra, risalendo tornante dopo tornante, Fabio scrive una sua personalissima pagina di coraggio agonistico. Nessuna guerra, nessuno nemico, per carità, ma tanta voglia di centrare un bersaglio. Di andare oltre. E di conoscere se stesso. Meglio che a Montecampione, dove pure aveva vinto in fuga solitaria. Qui, in mezzo a una bolgia urlante, con i suoi tifosi rauchi di felicità, Aru lancia una promessa per il futuro: nel ciclismo italiano, oltre a Vincenzo Nibali, nelle grandi corse a tappe, ci sono anch'io.

Solo Nairo Quintana riesce a tenergli testa. Ma ad un certo punto, quando il tamburino sardo scatena la sua offensiva, il colombiano deve far appello al fondo del serbatoio. La benzina scarseggia, ma Quintana sa che non può farlo vincere, che non può far crescere ancora quel ragazzino scatenato. E così il Grande Antipatico, per quella sua maglia rosa un po' stinta, conquistata nel pasticcio dello Stelvio, accelera quel tanto che basta a vincere sul traguardo più difficile. Un bella vittoria, che cancella almeno parzialmente veleni e polemiche. Indubbiamente Quintana è il migliore. Però resta un però. E tutto quel vantaggio (tre minuti su Uran e quasi quattro su Aru) forse non sarebbe così consistente. Ma ormai quel che è fatto è fatto. Inutile lamentarsi all'infinito. L'unica consolazione è che, finalmente, le comiche sono finite. Ne aveva bisogno il Giro. Ne avevamo bisogno tutti.

E adesso? Ormai siamo ai titoli di coda. Ma sul sinistro Zoncolan, l'ultimo ostacolo prima di Trieste, si potrà vedere ancora qualche fuoco d'artificio. Sfilare la maglia rosa a Quintana è difficile, quasi impossibile. Certo non può farlo Rigoberto Uran, il colombiano simpatico, secondo in classifica, quasi sempre al gancio quando la strada s'impenna. Qualche altro petardo, però, può farlo esplodere proprio il nostro Fabio. Il secondo posto sul podio è alla sua portata. Dopo questa cronometro non sarà facile, le forze si riducono, ma il morale fa volare . E Quintana, che è un vecchio saggio nonostante abbia quasi la stessa età di Aru, lo sa. E starà attento. Molto attento.

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