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Questo articolo è stato pubblicato il 01 giugno 2014 alle ore 20:11.

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«Il settore auto in Europa è ancora caratterizzato da una forte sovracapacità produttiva. Senon si risolve il problema sarà inevitabile un'altra crisi nei prossimi 4/5 anni».

Parlando al festival dell'economia di Trento in occasione della presentazione del libro "Made in Torino? Fiat Chrysler Automobiles" di Giorgio Barba Navaretti e Gianmarco Ottaviano (Ed. Il Mulino), Sergio Marchionne - che il 1° giugno di 10 anni fa entrava al Lingotto da amministratore delegato - ha ribadito la sua visione pessimista del mercato europeo, sul quale - coerentemente - il piano 2014-2018 di Fiat Chrysler punta relativamente poco. Per questo, la soluzione alla sottoutilizzazione delle fabbriche italiane può essere solo nell'esportare verso mercati più dinamici (Nordamerica, Cina) auto di gamma alta - a cominciare dalle Alfa Romeo.
Ma torniamo alla crisi, anzi alle due crisi: quella europea, da cui la Ue e il mercato non sono ancora usciti; e quella americana, che ha portato in dote a Fiat la Chrysler. Nel dibattito, moderato dal direttore del Sole 24 Ore Roberto Napoletano, Marchionne ha biasimato il fatto che "non siamo riusciti a trovare una soluzione europea, mentre i francesi chiedevano aiuto al loro Governo" e i tedeschi frenavano. Frenavano e con il loro rigore rischiavano di mandare l'euro a rotoli. A quell'epoca "Fiat si è sottratta a una guerra che non avremmo mai vinto, perché eravamo troppo piccoli". Adesso ci vuole meno rigore e più crescita: "Quel calvinismo tedesco che all'inizio si poteva capire, ora non ha più senso". Tanto più che gli Stati Uniti nello stesso periodo "stampavano moneta". Come dovrebbe cambiare l'Europa? "Vorrei che si facesse quello che ho sentito stamattina da Renzi. L'ho trovato coerente con la posizione che aveva preso in passato di andare avanti, di non farsi intimidire da ostacoli, eccetera.. la corsa importante è che vada avanti, per il bene dell'Italia".

Tornando alla strategia Fiat, anche in presenza dei primi segnali di ripresa in Europa la scelta di puntare sul premium è inevitabile visto che - come ha detto Marchionne all'inizio - la sovracapacità non è sparita. "Nel 2013 i costruttori di massa hanno perso tra i 5 e i 6 miliardi di dollari, e la concorrenza tedesca è diventata spietata". Non solo: anche quella Volkswagen che Marchionne punzecchia volentieri, "fa i soldi solo con Audi e Porsche, mentre la marca Vw ha un margine inferiore al 2% e da sola non ce la farebbe mai". Il manager Fiat ha allargato il tiro "sparando" metaforicamente anche su Daimler, che "ha lasciato in Chrysler una situazione oscena" e che non accettava alcuna condivisione di piattaforme con gli americani salvo inviare "qualche mutanda usata"; e sulla Bmw, che "negli ultimi tempi per inseguire la globalizzazione ha visto un degrado della qualità". Se i tedeschi sono bersaglio di ironia, restano però anche un modello da imitare. Alla domanda su come saranno i futuri modelli Alfa Romeo, Marchionne risponde: "Ha presente la gamma Bmw? Tra cinque anni ogni vettura avrà una "sorella" Alfa che la batterà". Quando arriverà la prima? "La vedrete l'anno prossimo, prima del Salone di Francoforte (che è a settembre, ndr). Venerdì ne ho provato un muletto; va benissimo e aveva quattro porte, ma non vi posso dire di più". Marchionne ha confermato che "Fiat investirà 5 miliardi di euro e che le Alfa verranno prodotte esclusivamente in Italia - almeno finché io sarò al Lingotto". Se tutto andrà come nei piani, "alla fine andremo a rioccupare tutta la forza lavoro e non avremo eccedenze.

C'è però un ma: per quanto riguarda l'intero piano di investimenti presentato il 6 maggio a Detroit, Marchionne ha ribadito che "l'intero progetto dipende dalla robustezza delle attività americane". Per quanto i progetti siano credibili e per quanto siano fondamentali per riportare in fabbrica i dipendenti italiani, il manager e soprattutto la proprietà non hanno per ora intenzione di scommettere nuovi fondi né di vendere attività per finanziarli. Unica ipotesi, che resta per ora sullo sfondo, quella di un prestito convertendo. In ogni caso, il grosso dei fondi dovrà venire dalla Chrysler: gli operai di Mirafiori e Cassino devono dunque sperare che l'azienda di Auburn Hills continui a produrre utili e che il mercato Usa, da cui Chrysler dipende in larga parte, prosegua nella fase positiva.
Per ora, comunque, l'azzardo del 2009 su Chrysler è valso la pena, anche se "andare a negoziare con Obama non è stato tanto normale, neppure per me. Ma era un'occasione che non si ripeterà mai più; abbiamo avuto tanta abilità e tanta fortuna". L'indipendenza che Fiat si è conquistata con Chrysler (il 70% del fatturato e la totalità degli utili arrivano dalle Americhe) permette al manager di guardare alle cose italiane con maggiore distacco. La Confindustria? "Fiat in questo momento non ne ha bisogno". I rapporti con la Fiom? "Il contratto Fiat è aperto, possono firmarlo quando vogliono".

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