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Questo articolo è stato pubblicato il 05 giugno 2014 alle ore 06:37.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 15:51.

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«La pietra ha cominciato a rotolare e presto diventerà una valanga». Il colonnello Renzo Nisi se ne va da Venezia nel settembre scorso con questa affermazione lapidaria. Capelli cortissimi, naso aquilino, basettoni da rockettaro, era arrivato al nucleo di polizia tributaria quattro anni prima da Milano. Nisi è uno capace di perdersi pure in Piazza San Marco, ma tra i faldoni di bolle e fatture si muove come un predatore.

All'alba del 2009, pochi mesi dopo l'arrivo a Venezia, verifica fiscale di routine al Consorzio Venezia Nuova. È l'inizio della fine.
Il Consorzio è il concessionario unico del vecchio ministero dei Lavori Pubblici (ora Infrastrutture) e ha il compito della salvaguardia di Venezia, costruzione delle dighe mobili comprese. Fu istituito dalla legge speciale su Venezia vent'anni dopo l'acqua granda del 4 novembre 1966, quando un oceano di pioggia si saldò all'alta marea e sommerse la laguna. Lo Stato, si sa, è presuntuoso. E nella sua presunzione decide che il Consorzio assegnerà i lavori a trattativa privata, senza gare pubbliche. Una sorta di monopolio, a patto che l'azienda beneficiaria dell'appalto abbia comprovate capacità tecnologiche.
Il gran cerimoniere degli appalti miliardari è l'ingegnere padovano Giovanni Mazzacurati, un sosia veneto di Enrico Cuccia: modi cortesi, di pochissime parole, padre del regista Carlo, il raffinato cantastorie delle convulsioni venete passato a miglior vita quattro mesi fa. Cascasse il mondo o piovesse da mettersi gli stivali fino all'inguine, l'ingegner Giovanni lo vedevi con il suo loden blu e il passo regolare attraversare ogni mattina campo Santo Stefano, il quartier generale del Consorzio. Mazzacurati sceglie come main contractor un'azienda guidata da un personaggio più lesto e spregiudicato di lui, la Mantovani di Piergiorgio Baita, il re del project financing, la sintesi perfetta tra un banchiere, un costruttore e un politico. È lui che scrive l'agenda delle opere pubbliche per conto di Giancarlo Galan, ex direttore generale di Publitalia e Doge per 15 anni della Serenissima, un milione di lavori di ristrutturazione della sua magione lagunare offerti dalla premiata ditta Mantovani. Cosa non si fa per un amico.

Il Passante di Mestre, il Mose, l'ospedale dell'Angelo di Mestre e quello di Schio sono tutte creature di Baita. Galan fa il ventriloquo, la voce è quello del presidente di Mantovani (ora ex), che non esita a nominare la fedele segretaria dell'ex governatore ed ex ministro, Claudia Minutillo, manager e amministratore delegato di una sua società, attività di copertura per quella ben più lucrosa di corriere nel paradiso fiscale dietro l'angolo, la Repubblica di San Marino, dove si accumula il grasso delle sovrafatturazioni. Il procuratore aggiunto della Procura di Venezia, Carlo Nordio, ha coniato uno slogan che non fa una piega: «Le tangenti pagate dai contribuenti». Sono sempre e soltanto soldi pubblici, in una girandola di fatture false o dopate a dismisura. Di pari passo si gonfia il tesoretto a uso e consumo di tre squadre nelle quali affari e politica sono la stessa cosa, un'organizzazione che distribuisce opere pubbliche e denari a una «sistema» bulimico azionato da Pdl e Pd.
Prima cordata, Venezia-Mose: Mazzacurati, Baita, l'arcipelago di piccole aziende chioggiotte e il sindaco di Venezia Giorgio Orsoni, uno degli avvocati d'affari più celebri d'Italia pizzicato mentre riceve al Consorzio un contributo sostanzioso per la sua campagna elettorale.

Seconda cordata: Veneto-project financing. Giancarlo Galan e Giorgio Chisso, suo uomo di fiducia in Regione, tutt'ora assessore alle opere strategiche e alla mobilità. Poi c'è Lia Sartori, eurodeputata uscente, socialista di ferro, amica di antica data di Galan e moglie del fondatore, scomparso, dello Studio Altieri di Thiene, la società cui viene delegata la progettazione di tutte le grandi opere. Pure a lei obolo di 200mila euro per la campagna elettorale. La parte finanziaria e le entrature ministeriali sono curate dalla Palladio, la holding vicentina di Paolo Meneguzzo, autore della tentata scalata a Fondiaria-Sai. Terza cordata: Venezia rossa. Lino Brentan, ex amministratore delegato della Padova-Venezia, beccato già nel 2012 dal solito Nisi con le mani nel sacco: frazionava i lavori per evitare le gare d'appalto e chiedeva tangenti agli imprenditori che si aggiudicavano i lavori. Quattro di loro hanno parlato e per Brentan, esponente di spicco del Pd veneziano, non c'è stato scampo:quattro anni di carcere in primo grado. In combutta con lui c'è Giampietro Marchese, tre volte consigliere regionale del Veneto del Pd, ex capogruppo e vicepresidente del consiglio regionale, presidente della fondazione Rinascita, alla quale fa capo tutto il patrimonio del vecchio Pds stimato in oltre tre milioni, consigliere delegato della società partecipata di Venezia che gestisce le farmacie. Un pesce grosso, che fino al 2013 fu anche consigliere di amministrazione della Cav, la società che costruì e gestisce il Passante di Mestre, un miliardo di investimenti in project financing. Poi ci sono i jolly, come Giovanni Artico, i servitori di mille padroni. Ex sindaco democristiano di Cessalto, ex portaborse di ministri democristiani della Prima Repubblica, piazzato da Chisso al vertice del Commissariato straordinario per il recupero di Porto Marghera. Un uomo con la passione per le Mercedes di lusso che a chiunque provasse a intervistarlo rispondeva preoccupato: «Chi l'ha mandata da me?». Stavolta i mandanti sono la strana coppia Mazzacurati-Baita, gli accusati accusatori, gli inventori di uno schema rivoltato contro i loro amici di un tempo. Un puzzle che a Carlo Nordio fa venire in mente il camaleontico Talleyrand, al servizio prima di Luigi XVI e poi della rivoluzione francese: «Le forze politiche non hanno imparato niente e non hanno dimenticato niente». Un riferimento alla tangentopoli di vent'anni fa. Stesse facce, stesse traiettorie politiche, stesso spregio dell'etica pubblica. Tutto si compra e si vende. E i servitori dello Stato? Se un comandante generale in seconda della Finanza, Emilio Spaziante, avrebbe aiutato Mazzacurati a occultare le indagini del nucleo tributario in cambio di 2,5 milioni, un altro, il colonnello Nisi, si è guadagnato la standing ovation della Procura di Venezia. Peccato che nove mesi fa sia stato trasferito al comando generale delle Fiamme gialle a Roma. Ruolo: capo dell'ufficio personale e organizzazione. Scrivania adeguata al rango, ufficiali che scattano sull'attenti al suo passaggio, ma addio per sempre alle indagini.

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