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Questo articolo è stato pubblicato il 05 giugno 2014 alle ore 09:47.

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Con nove punti percentuali in meno rispetto a sette anni fa, il contestato presidente siriano Bashar al Assad è stato formalmente confermato fino al 2021 ai vertici del potere in Siria, forte di un 88% dei voti incassato tuttavia - dati ufficiali alla mano - solo nella metà del Paese sotto controllo delle forze governative. Il risultato delle elezioni era d'altronde scontato: secondo le autorità, l'affluenza è stata del 73% e a votare - in un Paese lacerato dalla guerra - sono stati 11 milioni di siriani, lo stesso numero che nel 2007 era andato alle urne per consacrare il raìs.

I due "sfidanti", Maher Hajjar e Hasan Nuri, senza alcun peso politico e oppositori solo sulla carta, hanno ottenuto rispettivamente il 4,3 e il 3,2 per cento. Intanto sono emerse numerose denunce di irregolarità durante le operazioni di voto. E si contano almeno tre morti fra coloro che festeggiavano il successo di Assad, celebrata anche da spari secondo una tradizione comune in Medio Oriente e non solo.

Dal vicino Libano, dove è giunto in una visita lampo a sorpresa, il segretario di Stato Usa John Kerry ha bollato da parte sua la consultazione come "senza senso" e ha invitato gli alleati di Damasco - la Russia, l'Iran, ma anche gli Hezbollah libanesi - a cooperare per "mettere fine al conflitto". Mentre il G7 riunito a Bruxelles ha denunciato il voto come "finto" e ha sentenziato ieri sera che comunque Assad "non ha futuro".

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