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Questo articolo è stato pubblicato il 06 giugno 2014 alle ore 06:36.

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Giuseppe
Fiengo Per combattere la corruzione e assicurare per tempo la fine dei lavori dell'Expo 2015 si invoca la necessità di poteri e norme eccezionali: è una strada che appaga il bisogno psicologico di chi, di fronte alle inchieste giudiziarie in corso, avverte la responsabilità di una "scelta politica" forte. Ma non è detto che sia una soluzione efficace.
L'esperienza dal 1994 dimostra che la persistente continuità della corruzione negli appalti è connessa proprio al sistema delle "deroghe", utilizzato dalle leggi speciali, adottate ogni volta che occorreva fare opere pubbliche in occasione di eventi, calamità naturali e/o per il perseguimento di obiettivi strategici; c'è una sottile linea rossa che lega nel tempo "Tangentopoli" ai poteri derogatori dei commissari di governo e agli interventi straordinari. Forse oggi, di fronte a questo meccanismo che tende a riprodursi e alla necessità di innovare, si giustifica la ricerca di un'altra via.
Per gestire e controllare gli appalti pubblici servono norme semplici e procedure ragionevoli: la misura più utile sarebbe paradossalmente quella di sospendere, per le opere connesse all'Expo, tutta la legislazione nazionale in materia di appalti e concessioni ed applicare sic et simpliciter la sola disciplina comunitaria così com'è; per la normativa secondaria il vecchio regolamento, adottato con R.D. 25 maggio 1895, n. 350, nei limiti della sua compatibilità con le norme comunitarie, resta ancora il migliore. La nostra sovrabbondante disciplina nazionale sugli appalti e forniture è infatti strutturalmente contraddittoria rispetto alla valenza e alla funzione delle norme comunitarie in materia, che devono comunque essere applicate anche nei casi di "deroga". Ecco le conseguenze: a) sul piano giustiziale, il cumulo delle due discipline (comunitaria e nazionale) crea effetti perversi, soprattutto innanzi al giudice amministrativo, poco idoneo ad essere "giudice dei contratti"; b) sul piano economico, l'affidamento diretto di un appalto porta un'impresa a guadagnare più del dovuto e questa diventa la premessa necessaria e sufficiente per avviare un percorso di corruzione. Se il margine operativo è ridotto da un serio confronto concorrenziale è difficile pagare tangenti.
La linearità delle norme comunitarie, la concorrenza necessaria che ne deriva, la lealtà e correttezza che tali norme richiedono alla stazione appaltante e alle imprese interessate, la celerità nelle procedure e nei lavori che le stesse - ove razionalmente applicate - consentono, sono condizioni non facilmente compatibili con una disciplina speciale "fatta in casa" sotto la spinta dell'urgenza: in Europa le procedure sono oggettive ed efficaci; in casa le regole risultano "su misura".
Ma nell'applicare le regole comunitarie, occorre un nuovo modo di amministrare legato alla capacità per chi decide di assumere piena responsabilità di quello che fa: le procedure di gara, e le altre procedure imposte dalle direttive comunitarie, non servono - come comunemente si ritiene in Italia - a concludere automaticamente un contratto pubblico; gare e trasparenza si fermano un attimo prima del contratto e servono solo per la "scelta (obbligata) del contraente", con il quale sedersi ad un tavolo e responsabilmente trattare, secondo regole di correttezza e buona fede.
In questo contesto è noto come le nostre ditte, che spesso vincono le gare al massimo ribasso, si muovono in Italia nel presupposto di modificare nel corso dei lavori i prezzi concordati, mentre in Europa le stesse ditte, benché vincitrici della gara, non riescono neppure a concludere il contratto. In definitiva, l'impatto delle norme comunitarie con le nostre vecchie leggi di contabilità ha portato, sempre più, ad un automatismo nelle aggiudicazioni e ad una deresponsabilizzazione dell'amministrazione pubblica; la paura dei ricorsi e del giudice penale ha fatto il resto.
Ma allora occorre anche cambiare giudice e affidare il controllo su tutte le procedure, di concessione e appalto, dal bando di gara al collaudo dei lavori, al giudice naturale dei contratti, eliminando quel tipo di controllo da parte del giudice amministrativo sugli atti posti in essere dalla stazione appaltante. Con questa scelta non avremmo sospensione dei lavori, se non in casi di palese violazione di legge e di danno grave ed irreparabile.
In sostanza la proposta operativa si muove paradossalmente su un itinerario del tutto opposto a quello sino ad oggi praticato per affrontare e risolvere i cosiddetti "problemi dell'emergenza"; non c'è bisogno di nessuna deroga, di nessun commissario straordinario, se non per gli aspetti meramente contabili e ragioneristici. Le linee tracciate dalle norme europee e il controllo del giudice ordinario bastano ad assicurare la trasparenza negli appalti e la loro accelerazione in vista di Expo.
Avvocato dello Stato
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