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Questo articolo è stato pubblicato il 06 giugno 2014 alle ore 06:37.

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È durato un anno l'incarico di Enrico Bondi all'Ilva di Taranto. Aretino, classe 1934, Bondi era stato nominato commissario dall'allora Governo letta. In precedenza il manager toscano era stao commissario alla Revisione della spesa dello Stato per conto dell'esecutivo Monti. Sempre nel ruolo di commissario straordinario era arrivato in Parmalat a fine 2003, dopo il crac del gruppo, di cui in seguito era diventato a.d. In passato si era anche occupato del risanamento di Montedison.
ROMA
Enrico Bondi è fuori dall'Ilva. Una scelta netta. Con un colpo di spada, il Governo ha deciso di rinunciare alla sua collaborazione. Nessuna reiterazione per un altro anno dell'incarico di commissario. Nessuna proroga fino a che la cordata – imperniata su Arcelor Mittal e sulla famiglia Riva – non prenderà eventualmente corpo.
Il Governo lo ha comunicato a Bondi mercoledì nel tardo pomeriggio. Questa mattina, prima di mezzogiorno, si terrà il Consiglio dei ministri. Appare probabile – e auspicabile – che, per non lasciare come sospesa nel vuoto la maggiore acciaieria europea e i suoi 12 mila addetti, già oggi si conosca il nome del successore di Bondi.
Nelle ultime ore, fra i palazzi romani che temono una drammatica implosione dell'Ilva e le banche milanesi che paventano di perdere la loro montagna di crediti, sono circolati i nomi più diversi. Fra i più verosimili, ci sarebbero quelli di Piero Gnudi, Massimo Tononi e Fulvio Conti. Il primo, che ha un ruolo fondamentale di supporto del ministro dell'economia Federica Guidi, ha già presieduto l'Enel, ha fatto il ministro con Monti e unisce alle capacità operative la sensibilità politica necessaria per (provare a) sbrogliare una matassa che, da un momento all'altro, per l'incipiente crisi finanziaria interna potrebbe prendere fuoco. In questo momento, proprio perché conosce bene la macchina del Governo (ha una stanza a fianco del ministro, come suo consulente personale) potrebbe essere la persona con più chance.
Massimo Tononi – che però ha fatto sapere di non essere mai stato contattato – è un uomo di finanza. Già in Goldman Sachs, ora è presidente di Borsa Italiana. È stato giovane assistente di Prodi all'Iri e poi sottosegretario del primo Governo del Professore. Proprio quel Professore che negli anni Ottanta impostò, con successo, il primo ciclo di privatizzazioni della siderurgia italiana, trainando l'uscita del pubblico dall'acciaio in tutta Europa. Al di là del rapporto diretto con Prodi, che peraltro caratterizza anche Gnudi (il quale è oggi presidente di Nomisma), Tononi è dunque abituato a gestire dossier con una molteplicità di aspetti, fra la politica e l'economia. Fulvio Conti, che ha lavorato alla Telecom e che ha guidato l'Enel, ha una specializzazione che contempera la gestione industriale e il controllo delle finanze. All'Enel, il suo equilibrio e la sua disponibilità al "dialogo" sono stati apprezzati dal mondo siderurgico italiano, che con la sua natura energivora ha nel livello effettivo delle tariffe una componente essenziale della sua struttura dei costi.
Al di là dei rumors fra politica e banche, i due nomi più accreditati sembrerebbero Gnudi e Conti. In ogni caso, non è esclusa una sorpresa. Di certo, il "cambio di passo" chiesto da Renzi l'altra settimana c'è stato. Ed è un cambio di passo che accelera, in un senso o nell'altro, la vicenda Ilva. Vicenda che, negli ultimi dieci giorni, ha avuto appunto quattro novità salienti: la disponibilità dichiarata dai Riva in una intervista al Sole 24 Ore a fare parte di una cordata con altri imprenditori, l'incontro a Roma fra Governo e Arcelor Mittal, il tentativo dei Riva di fare cambiare sede al processo per associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale che inizierà a Taranto il 19 giugno e, adesso, l'uscita di scena di Enrico Bondi.
Ora, dunque, c'è l'attesa per il nuovo commissario. Il quale dovrà subito mettersi al lavoro per capire a che punto è la costruzione del famoso prestito ponte: non meno di 300 milioni di euro che diano un poco di fiato all'Ilva, i cui lavoratori si trovano ogni mese – il giorno 12, giorno di paga – a vivere l'angoscia dell'accredito o meno dello stipendio sul proprio conto corrente. Un prestito ponte su cui il Governo sta lavorando da almeno un mese, con l'ipotesi iniziale – mai concretasi però – che la metà fosse garantita dalla Cassa Depositi e Prestiti e la metà dalle banche. Il piano industriale sarà fondamentale. La realizzazione dell'Aia anche. Ma, di certo, si tratta di questioni che hanno una minore urgenza, rispetto a quella di mettere in sicurezza la fisiologia finanziaria dell'Ilva. Analizzata la quale il Governo potrà decidere che cosa fare: se proseguire, con le modifiche del caso, nel solco tracciato con il commissariamento dall'Esecutivo Letta o se scegliere la via più traumatica di un approdo alla Marzano, che ben difficilmente troverebbe d'accordo i Riva, le banche e i creditori.
Il cambio di passo c'è stato. Ma, a due anni dall'esplosione del caso giudiziario, è come se fossimo soltanto all'inizio di una nuova maratona.
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