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Questo articolo è stato pubblicato il 08 giugno 2014 alle ore 15:25.
L'ultima modifica è del 08 giugno 2014 alle ore 15:44.

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VENEZIA - A Venezia, dentro il consorzio che si occupa della realizzazione del Mose, li chiamavano "i soliti quindici". O anche: "quelli delle consulenze". Le fatture gonfiate erano "le robe", mentre "il nostro giro" si riferisce alla spartizione dei fondi illeciti. Infine, la "pronta cassa" indicava l'approvazione del pagamento.

Le definizioni arrivano dagli stessi imprenditori e consiglieri d'azienda indagati, in particolare da Nicola Falconi, che era solito emettere fatture gonfiate, e da Pio Savioli, direttore tecnico della Coveco, che poi girava le fatture al Consorzio Venezia Nuova (Cvn). Dalle carte della procura di Venezia emerge una vera e propria ragnatela di aziende e consulenti che dal 2005 al 2012 si sono scambiati prestazioni e affidamenti fittizi, creando fondi neri per 40 milioni. Intanto, la Guardia di Finanza ha sequestrato all'ex presidente veneto Giancarlo Galan beni per un valore pari agli illeciti contestati, intorno a 5 milioni. I sequestri riguardano anche gli altri indagati. Si parla di beni immobili e imbarcazioni per un valore vicino ai 40 milioni di fondi neri contestati dai magistrati. Congelati anche conti correnti e quote societarie.

Le scatole cinesi
L'inchiesta della procura di Venezia si arricchisce di nuovi dettagli. I procuratori Stefano Ancillotto, Stefano Buccini e Paola Tonino partono da due filoni d'indagine, attraverso cui ricostruiscono gli intrecci societari dove le fatture venivano fatte circolare con l'obiettivo di disperdere le tracce.

Il primo dossier inizia con la verifica fiscale a carico della Coop San Martino. Da qui gli inquirenti sono arrivati al Consorzio Venezia Nuova, composto dalla Coveco, a sua volta partecipata dalla coop San Martino (la quale ha anche una quota diretta dentro la Cvn), Condotte d'acqua spa, Bosca e Sitmar Sub (il cui dg era in entrambi i casi Nicola Falcone) e Selc. La Condotte d'acqua inoltre, insieme alla Coveco e alla San Martino, formano la Ati Clodia Scarl.

Il secondo filone di indagine parte invece dalla verifica fiscale della Mantovani, facente parte di Mose trasporti, Covela, Impresa Pietro Cidonio, a sua volta parte della Mazzi società consortile (insieme alla Fincosit e alla Technital).

Durante una conversazione tra l'imprenditore Falconi e il direttore Savioli si parla di "pronta cassa", come spiega Savioli. Falconi risponde "poi facciamo il nostro solito giro...da quei soliti quindici, quelli della consulenza". I procuratori spiegano che il metodo intercettato era riprodotto e consolidato negli anni.

Ecco un esempio: La Bosca, guidata da Falconi, emetteva fatture da 15mila euro (Iva) per una consulenza verso il Coveco, una per ciascuna delle quindici aziende che ruotavano intorno al Cvn. La parola utilizzata a bilancio era proprio "Consulenza", ma, spiegano gli inquirenti «era chiaramente una copertura, non avendo senso emettere in continuazione fatture da 15mila euro per una consulenza». Poi a sua volta il Coveco emetteva una fattura di uguale importo al Cvn. E questo schema valeva in sostanza per tutti i "soliti quindici", questa galassia di imprese partecipate fra loro, tutte direttamente o indirettamente consorziate con la Coveco e la Cvn.

L'ammontare degli scambi
La procura somma i passaggi più significativi delle fatture gonfiate indirizzate al Cvn dalle aziende "satellite". Alla Mantovani dal 2005 al 2012 sono andati quasi 10 milioni, a cui si aggiungono "anticipazioni di riserve" dal 2005 al 2011 per quasi 7 milioni; alla San Martino, tramite la Coveco, 5,6 milioni dal 2005 al 2012; nello stesso periodo alla Pietro Cidonio vanno quasi 5 milioni; alla Codemar e Nuova Codemar quasi 4 milioni dal 2005 al 2011 (considerando anche le anticipazioni di riserve); alla Bosca, a Andrea Rismondo e a Francesco Scarton 1,4 milioni dal 2008 al 2011. La metà di ogni fattura è andata poi a costituire un fondo nero.

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