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Questo articolo è stato pubblicato il 08 giugno 2014 alle ore 08:11.
L'ultima modifica è del 19 giugno 2014 alle ore 15:54.

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Un nuovo sistema di politiche attive basato su costi standard, cooperazione pubblico-privato, finalizzata all'esito occupazionale.

L'Italia attraverso il programma europeo «Garanzia giovani» sta provando a rilanciare i servizi per il lavoro (l'anello più debole del mercato) cercando di far dialogare imprese, regioni, centri per l'impiego, scuole, università, poli tecnico professionali, Its. Oggi i centri pubblici collocano meno del 4 per cento. Il rapporto istruzione-mondo del lavoro è piuttosto fiacco: anche le recenti raccomandazioni Ue ci incalzano a fare di più visto che da noi studia e lavora solo il 3,7% degli under29, in Germania il 22,1%, contro una media Ue del 12,9 per cento. Il tasso di disoccupazione giovanile ha raggiunto ad aprile il livello record del 43,3% e su oltre 24 miliardi di spesa (dato 2011, ultimo disponibile, fonte ministero del Lavoro) per le politiche occupazionali, oltre 20 miliardi sono appannaggio dei sussidi, mentre solo 4,7 miliardi sono stati investiti in politiche attive.

La sfida di «Youth guarantee» è quella di offrire ai giovani «Neet», 15-24 anni (in Italia la platea è salita fino a 29 anni), entro quattro mesi dall'uscita del percorso formativo, un corso di specializzazione per il lavoro, un tirocinio, un apprendistato, un contratto di impiego. Un piano piuttosto articolato, e finora finanziato con poco più di 1,5 miliardi di euro per il biennio 2014-2015. Il governo ci punta, anche in vista del riordino complessivo dei servizi per il lavoro che dovrà essere attuato con il ddl delega sul «Jobs act». Il ministro Giuliano Poletti ha detto ieri di voler rendere «stabile» il modello «Garanzia giovani», come una "nuova scuola" per le politiche attive.

Al 5 giugno risultavano iscritti a «Youth guarantee» oltre 74mila ragazzi (74.394 per la precisione). Entro 60 giorni dovranno essere presi in carico dalle regioni, che hanno il compito di declinare le singole iniziative rivolte ai «Neet». Non tutti gli enti territoriali sono però partiti con il piede giusto. In Sicilia, per esempio, l'attuazione di «Garanzia giovani» sarà affidata essenzialmente ai soggetti pubblici (di cui è nota la scarsa efficienza). Lazio, Emilia Romagna e Liguria utilizzeranno invece partenariati pubblico-privati. La Lombardia può contare sul meccanismo già collaudato da mesi della «Dote unica lavoro»: secondo gli ultimi dati forniti, su oltre 10mila giovani tra i 15 e i 29 anni presi in carico con questo strumento il 66,1%, pari cioè a 6.949 ragazzi, ha già trovato una occasione di impiego. Ma non arrivano a dieci le regioni che hanno rapporti efficaci con le agenzie per il lavoro private.

Le nuove politiche del lavoro debbono guardare sempre più su formazione e ricollocamento (e sempre meno su meri sussidi assistenziali). In più in una logica di premialità. Prevedendo il rimborso dei soldi solo "a risultato" (quando cioè l'obiettivo dell'occupazione è stato raggiunto).

Fondamentale è il rapporto con le imprese. Il governo lo ha capito, e ha già firmato protocolli d'intesa con Confindustria, Finmeccanica, Cia e Agia, i giovani imprenditori agricoli. Del resto anche l'Europa chiede una presenza forte del settore privato nell'offrire tirocini e apprendistati di qualità. Serve poi rafforzare il connubio con le scuole (assenti invece in molti progetti regionali) e il ministero del Lavoro deve ancora chiarire come verranno utilizzati i 100 milioni (degli 1,5 miliardi complessivi) trattenuti a livello nazionale per capire quali ricadute avranno sui territori.

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