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Questo articolo è stato pubblicato il 08 giugno 2014 alle ore 08:14.

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L'enigma di Vincenzo Maranghi è racchiuso in un autoritratto fotografico, in cui compare soltanto l'ombra, di riflesso su un vetro, di fronte a una grata in ferro, in un edificio di una strada antica di Cerro, sul Lago Maggiore. L'immagine è nitida. Lui, però, non si vede. O, meglio, il suo profilo racchiude uno spazio scuro in controluce, la natura sullo sfondo e in primo piano il grigio, il bianco e lo scuro dei mattoni di una vecchia casa. La Fondazione Giancarla Vollaro e la Fondazione Piero Portaluppi hanno dato alle stampe Vincenzo Maranghi. Immagini, un volume che non si trova in vendita in libreria, ma che viene distribuito a quanti lo hanno conosciuto e apprezzato (per informazioni scrivere alla posta elettronica della Fondazione: info@portaluppi.org). A curarne la pubblicazione, che riporta sulla copertina la sigla adoperata dal banchiere negli appunti privati e professionali «V-M-I», è la casa editrice Skira. Scrive Anna Maranghi, sua moglie, nella breve introduzione: «Questo libro ha il solo scopo di restituire alle persone che hanno conosciuto Vincenzo una dimensione più intima del suo mondo nei piccoli spazi non dedicati alla famiglia, al lavoro e alla Sua Mediobanca. Non vuole essere un libro di fotografie e nemmeno un racconto per immagini, semplicemente un omaggio affettivo».
Affetti privati, ma anche testimonianza storica. Queste cinquantanove foto, con la frammentarietà di una serie di immagini frutto del divertimento delle ore più solitarie, compongono il ritratto di una passione personale che racconta un mondo che non c'è più. Maranghi, principale collaboratore di Enrico Cuccia, è stato esponente della borghesia del Novecento, prima che la fine del Secolo breve – nella sua versione italiana – degradasse la qualità – etica e culturale – delle classi dirigenti. Una borghesia dai buoni studi classici (il diploma dai Padri Scolopi a Firenze) e dalla formazione universitaria – nel suo caso la laurea in legge – che costituivano le basi su cui edificare una conoscenza del mondo che non si limitava agli affari, ma che da una preparazione di stampo gentiliano sviluppava per esempio l'interesse per la storia dell'arte e per i luoghi della cristianità, senza alcuna distinzione fra chi aveva una identità cattolica e chi invece coltivava una visione delle cose più laica.
E, così, ci sono Camaldoli, l'abbazia di Fontenay in Borgogna, il duomo di Todi, San Zeno a Verona. C'è, poi, il Duomo. In questo caso non soltanto nella sua versione più spirituale, ma da vera "fabbrica" dello spirito pragmatico di Milano: in una foto del 1990 le guglie dialogano con i cartelloni pubblicitari appesi nei palazzi a fianco; in una seconda immagine la statua del Santo fronteggia la Torre Velasca, con un effetto bizzarro e quasi ironico. Milano, dunque, è molto presente. Quella Milano che, nel Novecento, ha espresso la forza del magnete costruendo una élite basata sul talento e la perseveranza di chi, milanese di origine, non era: Cuccia, Mattioli e Mattei, per citare tre dei tanti nomi di "forestieri". Una città vissuta da Maranghi anche nella sua dimensione esteticamente più alta: diverse volte compare il giardino di casa Maranghi, quella Casa degli Atellani restaurata radicalmente nel 1922 da Piero Portaluppi e abitata dagli eredi di quest'ultimo, fra cui la nipote Anna, diventata nel maggio del 1961 moglie del banchiere. Nell'universo interiore che emerge da questa raccolta di immagini ci sono, poi, i luoghi dell'"altrove". Lontano da Milano, epicentro del lavoro e della famiglia. Le Dolomiti, la Corsica, le Isole Azzorre, il Parco del Ticino (dove poteva coniugare due sue passioni, oltre alla fotografia anche la pesca).
Scrive la storica della fotografia Elisabetta Goggi: «Prendere in esame l'Archivio fotografico di Maranghi è stato come ripercorrere il suo viaggio, inteso come esperienza globale: fisica, immaginifica, mentale. Attraverso diversi sentieri, senza puntare a una meta che non fosse la ricerca di sé e delle sensazioni che i vari ambienti avevano suscitato in Lui, l'autore ha lasciato tracce della sua esperienza, in un discorso rimasto aperto, come se fosse stato costretto a interromperlo improvvisamente, ma intendesse continuarlo». E, aggiungiamo noi, vedere queste foto è stato come avere l'intuizione di che cosa poteva essere l'anima di un uomo noto nella sfera pubblica, segreto nella sua dimensione privata.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Vincenzo Maranghi. Immagini, a cura di Elisabetta Goggi, Fondazioni Giancarla Vollaro e Piero Portaluppi, Skira, Milano pagg. 110. info@portaluppi.org

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