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Questo articolo è stato pubblicato il 09 giugno 2014 alle ore 18:29.

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Non ci sono più scuse per lo sfitto a Milano. Gli immobili abbandonati sono stati censiti dal Comune di Milano in una mappa pubblicata oggi online sul sito internet dell'amministrazione. Se i proprietari non interverranno, soprattutto in seguito alle messe in mora, l'ente locale potrà richiedere «l'attribuzione a tali beni di una destinazione pubblica, di interesse pubblico o generale», come previsto dall'articolo 11 del nuovo regolamento edilizio adottato dal Consiglio Comunale lo scorso 14 aprile.

Dagli ex cinema (De Amicis di via Caminadella, Splendor di via Gran Sasso, Luce di corso XXII Marzo, Maestoso di piazza Lodi, Adriano di via Gulli), all'ex palazzo Inps di via Toffetti, passando per l'ex Grand hotel Brun di via Caldera, oppure l'ex scuola professionale Bauer di via Fanti Manfredo, fino alle villette Pasini di via Tognazzi. Nel censimento condotto dal Comune di Milano ci sono immobili di ogni tipologia: 39 residenze, 19 aree libere, 31 immobili terziari (ad uso uffici), 7 edifici rurali, 58 a destinazione produttiva, 6 commerciali e un parcheggio interrato. Per un totale di 161 unità di proprietà privata che da oggi così entrano nel mirino dell'amministrazione, in particolare dell'assessorato all'Urbanistica guidato dall'avvocato Ada Lucia De Cesaris.

È una vera e propria campagna, quella condotta dall'assessore milanese, per riqualificare intere parti dismesse della città. Lo abbiamo visto nel caso di due palazzi "simbolo" degli spazi vuoti a Milano come la Torre Galfa e Palazzo Citterio, su cui però sono già stati approvati progetti di riqualifiazione (e per questo non sono stati inseriti nella mappatura). Secondo la classificazione dell'ente locale, si presumono abbandonati gli edifici che non siano manutenuti e utilizzati per più di cinque anni, «ove tale non utilizzo riguardi almeno il 90% delle loro superfici».

Nel nuovo regolamento edilizio, steso dal team della De Cesaris, un intero articolo è dedicato al tema del recupero urbano. E la mappatura condotta è solo l'ultimo tassello di un lavoro di squadra che dura da almeno un paio di anni: «La pubblicazione di questo censimento - spiega la vicesindaco Ada Lucia De Cesaris - è un altro tassello nel contrasto all'incuria del patrimonio edilizio esistente. Ci auguriamo che questo censimento possa essere di ulteriore stimolo per avviare interventi concreti di messa in sicurezza, riqualificazione o anche riuso temporaneo». L'elenco è il risultato delle rilevazioni effettuate da associazioni ed enti impegnati sul territorio e rappresenta la fotografia attuale dello stato di degrado e inutilizzo di edifici, aree edificate di grandi dimensioni e aree libere. Tutte le situazioni, in particolare quelle più critiche (compresi i casi di fallimento), sono state oggetto di puntuale verifica da parte degli uffici competenti.

A tutti i proprietari dei 161 immobili (e aree) mappate dal Comune sono state inviate delle lettere. Secondo il nuovo regolamento edilizio (che dovrà comunque essere approvato in via definitiva dal Consiglio Comunale), «l'amministrazione comunale, una volta accertato lo stato di abbandono, di degrado urbano, di incuria e di dismissione delle aree e/o degli edifici, diffida i soggetti di cui al precedente comma ad eseguire interventi di ripristino, pulizia e messa in sicurezza delle aree, nonché di recupero degli edifici sotto i profili edilizio, funzionale e ambientale».

Entro 60 giorni dalla notificazione della diffida, che molti dei proprietari hanno già ricevuto, «i proprietari o i titolari di diritti su detti immobili - come si legge nel regolamento edilizio - devono presentare progetto preliminare per l'esecuzione degli interventi edilizi, per la sistemazione e la manutenzione, o per la riconversione funzionale degli stessi in conformità alle previsioni del Piano di Governo del Territorio, allegando una relazione che espliciti le modalità e i tempi per l'esecuzione degli interventi di recupero urbano e di riqualificazione sociale e funzionale».

Decorso il termine di cui al precedente comma e «constatata l'inerzia dei proprietari o dei titolari di diritti su tali beni», il Comune può provvedere in via sostitutiva all'esecuzione di interventi di manutenzione e di pulizia degli immobili, nonchè a mettere in sicurezza le aree. Le relative spese sostenute dovranno essere rimborsate dai proprietari o titolari di diritti su tali beni entro 30 giorni dalla richiesta e, in difetto, tali spese saranno riscosse coattivamente con la procedura prevista dalla normativa vigente. Inoltre, in caso di inottemperanza agli ordini impartiti, è prevista una sanzione commisurata a 500 per mq.

L'eseguità delle risorse pubbliche, però, impone di trovare delle alternative: il Comune non può farsi carico di tutti gli interventi di recupero non espletati dai proprietari. Sempre secondo l'art 11 del regolamento edilizio, «qualora il proprietario non intervenga, rendendo necessario l'intervento sostitutivo, l'amministrazione comunale provvede, altresì, ad attivare uno dei seguenti procedimenti: a) di attribuzione a tali beni di una destinazione pubblica, di interesse pubblico o generale, assumendo gli atti e gli strumenti previsti dalla legislazione nazionale e regionale vigente; b) di recupero delle aree non residenziali dismesse, ai sensi dell'art. 97 bis della Legge Regionale 11.3.2005 n. 12».

Di fronte a questo articolo la levata di scudi dei proprietari immobiliari è stata immediata, tanto che qualcuno ha gridato all'"esproprio proletario". A ridimensionare l'impatto di questo provvedimento è stata l'assemblea e che, in sede di adozione, ha introdotto il vincolo di passaggio in Consiglio comunale per discutere la possibilità da parte dell'amministrazione di assegnare a funzioni sociali determinate aree o stabili abbandonati e degradati. L'assessore De Cesaris ha difeso la norma: «Non ci sono espropri proletari sugli edifici abbandonati, ha dichiarato in commissione spiegando che a quegli interventi «si arriverà quando la proprietà continua a non rispondere e ci troviamo di fronte a un muro di gomma» e sottolineando come «i veri inadempienti sono le grandi proprietà immobiliari, che lasciano proprietà fatiscenti mentre chiedono di poter effettuare nuovi interventi edilizi».

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