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Questo articolo è stato pubblicato il 11 giugno 2014 alle ore 06:37.
L'ultima modifica è del 11 giugno 2014 alle ore 06:53.

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La bandiera nera di al-Qaeda, o meglio dell'Isil, lo Stato islamico dell'Iraq e del Levante, sventola da ieri su Mosul, la seconda città dell'Iraq, e gli jihadisti hanno occupato anche gran parte della provincia di Ninive controllando diversi quartieri di Kirkuk, roccaforte curda e centro petrolifero. Un'offensiva militare su larga scala: questi combattenti islamici sono così agguerriti che hanno emarginato persino la direzione storica degli eredi di Osama Bin Laden. Non solo in Iraq, mettendo con le spalle al muro il governo dello sciita Nouri al-Maliki, ma anche in Siria, dove sono predominanti in diversi centri del Nord e in aperta rotta di collisione con gli jihadisti di Jabat al-Nusra, sponsorizzati dal successore di Osama, Ayman al-Zawahiri.
Le due guerre civili, di Siria e in Iraq, fortemente influenzate anche dagli attori esterni e in particolare dalle monarchie del Golfo che sostengono la guerriglia sunnita, sono come vasi comunicanti e i qaidisti ne approfittano da tempo per mettere a ferro e fuoco il Nord iracheno e la provincia al-Anbar, da Falluja a Ramadi, dove si è creata un'ondata di mezzo milione di profughi.
Della realtà irachena in questi mesi si parlava assai poco, forse oscurata dalla guerra civile in Siria e dagli eventi in Ucraina, ma soprattutto perché è un altro esemplare fallimento di Washington che ha ritirato le truppe tre anni fa: gli Stati Uniti ieri hanno promesso un sostegno al governo iracheno che sta per proclamare lo stato d'emergenza mentre il premier Maliki ha lanciato un appello per distribuire armi ed equipaggiamenti ai volontari che vorranno combattere contro gli jihadisti. Un segnale evidente delle enormi difficoltà di un governo centrale appoggiato anche da Teheran ma scarsamente legittimato, nonostante la vittoria conquistata dalla coalizione di Maliki alle ultime elezioni. Al premier si rimprovera di avere monopolizzato il potere e di non avere saputo fermare la violenza: oltre 4mila morti dall'inizio dell'anno.
Perchè l'attacco dell'Isil si è concentrato su Mosul? Per la sua posizione strategica, all'incrocio delle direttrici verso il Kurdistan e la Turchia, per il passaggio delle pipeline nella vasta provincia di Ninive ma anche per le sue caratteristiche multietniche e religiose. Mosul, 400 chilometri a nord di Baghdad, conta oltre un milione e mezzo di abitanti, in maggioranza arabi di confessione sunnita, ma sono presenti numerose minoranze, tra le quali turchi, curdi, turcomanni e cristiani. Inoltre sembra che il leader dell'Isil, Abu Bakr al-Baghdadi, conosciuto come Abu Dua, sia originario della città. In realtà Abu Bakr appartiene da tempo ai ranghi di al-Qaeda quando era ancora diretta in Iraq dal giordano Abu Musab al-Zarqawi ed era già noto come l'"emiro di Rawa" per avere diretto i tribunali islamici destinati a intimidire con sentenze feroci la popolazione.
In Siria l'Isil avrebbe in mano anche il padre gesuita Paolo Dall'Oglio, sul quale ieri si erano moltiplicate voci, smentite dalla Farnesina, di un contatto con una "delegazione italiana". Dal 2011 Abu Bakr capeggia un ramo autonomo dell'organizzazione che ha l'obiettivo di fondare un califfato nel Nord dell'Iraq e della Siria: oggi l'Isil conta su migliaia di combattenti, l'appoggio dei sunniti e soprattutto sulla debolezza intrinseca dello Stato iracheno.
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