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Questo articolo è stato pubblicato il 11 giugno 2014 alle ore 06:36.
L'ultima modifica è del 11 giugno 2014 alle ore 06:53.

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VENEZIA. Dal nostro inviato
Più scavi, più incongruenze affiorano. La sanità in Veneto è una ragnatela inestricabile di favori, affidamenti diretti, project gonfiati a dismisura, tassi d'interesse sui mutui da usura, polizze assicurative per tutte le Ulss assegnate d'impero a un'unica società, la Assidoge di Mirano, che si pappava in regime di monopolio 80 milioni l'anno per i rischi di responsabilità civile verso terzi con provvigioni del 14 per cento.
Il cuore del sistema Galan, il Doge padovano imbeccato da teste molto più raffinate e laboriose della sua, è a Vicenza. Se l'ospedale dell'Angelo di Mestre è la madre di tutte le operazioni in finanza di progetto, Vicenza è il quartier generale degli strateghi del project alla veneta. Da Lia Sartori, socialista della prima ora, già vicepresidente del Consiglio regionale ai tempi di Carlo Bernini e poi nel quindicennio galaniano prima a capo dell'assemblea di Palazzo Ferro Fini e poi al parlamento europeo; alla Gemmo impianti, una delle aziende che compare in tutte le grandi opere venete sempre in cordata con lo studio Altieri di Thiene, fondato dal compagno della Sartori, e a Mario Putìn (con accento sulla i) di Costabissara, lo zar delle mense, otto mila dipendenti ed entrature in Vaticano con la sua Serenissima, un personaggio che meriterebbe un racconto a se stante.
La cordata celebrava la sua festa annuale in luglio nel parco nazionale di Brioni, in Croazia, isolotti selvaggi e mare cristallino a un tiro di schioppo da Rovigno, il buen retiro di Galan e molti veneti. Con tanto di organizzatori e sponsor, dalla banca Antonveneta alla valigeria Roncato, e la benedizione di monsignor Liberio Andreatta, amministratore delegato dell'opera romana pellegrinaggi. Altri tempi. Adesso strigliare la finanza di progetto è diventata quasi una moda. «I politici dovrebbero smetterla di farsi dettare le condizioni dai privati: l'opera finisce per costare molto di più del previsto, aggravando il debito dell'ente pubblico» ha bacchettato all'inaugurazione dell'anno giudiziario il Procuratore della Corte dei conti Carmine Scarano. E Luca Zaia, quasi a confermare le parole del procuratore: «Il project financing pesa con costi finali pesantissimi pari al 10, 11% del bilancio». Qualcuno che conosce i conti ipotizza: non è lontano il giorno in cui la Regione potrebbe trovarsi nelle condizioni di non poter erogare i servizi pubblici essenziali. Troppi sprechi.
Di esempi se ne trovano a decine. Ieri l'ospedale di Mestre, oggi quello di Santorso, equidistante tra Schio e Thiene, nell'alto vicentino, la Silicon valley italiana, un reticolo di imprese manifatturiere ipercompetitive capaci di rivaleggiare con le più celebrate aziende asiatiche o della west coast americana. È questo che stride: l'abuso del denaro pubblico, gli accordi opachi e lo spregio per la concorrenza nella terra della piccola impresa.
C'è chi addirittura sulle critiche all'ospedale Santorso, 154 milioni intascati dai soliti noti, ci ha costruito un successo elettorale. Come Walter Orsi, piccolo artigiano scledense e leghista, insediato proprio ieri. Orsi ha la penna e la lingua taglienti: ben prima di essere eletto ha preso carta e penna per scrivere al governatore Zaia una lettera di fuoco. Il senso della missiva: «Illustrissimo governatore, la informo che per ripagare gli 800 milioni del nuovo ospedale di Santorso la Ulss paga interessi equivalenti a quelli usurai, tassi che impoveriscono i cittadini e arricchiscono qualcun altro». La risposta, scritta per mano di un funzionario dell'assessorato, ha deluso il neosindaco. Che spiega: «La finanza di progetto non è buona o cattiva in sé, dipende dalle condizioni: quando uno compra casa cerca un mutuo a un tasso vantaggioso o umano, altrimenti lascia perdere».
In Veneto e al Santorso nessuno ha mai mollato l'osso. Orsi racconta di una struttura colabrodo inaugurata nemmeno due anni fa: piove all'interno e cascano le controsoffittature. A Schio, il vecchio ospedale di sette piani costruito negli anni '60 è stato chiuso a doppia mandata. Dentro ci sono le sale operatorie attrezzate di tutto punto, i letti, le apparecchiature diagnostiche, i mobili e persino i vecchi camici dei medici. Pronto a riaccendersi, come un'automobile lasciata per qualche tempo in un parcheggio. Una parola pure questa dolente al Santorso, dove, sorpresa, il parchimetro non perdona malgrado l'ospedale sia lontano dai centri abitati. Col project il tassametro non smette mai di girare. Con la mensa, i bar e punti di ristoro gestiti dal solito Putìn. Il bando su questo punto è chiaro: «35 punti sono attribuibili in base al fattore prezzo, mentre 30 e 25 sono il punteggio massimo previsto rispettivamente per la qualità tecnica del progetto generale e la qualità tecnica e il livello di definizione degli impianti». Il trionfo della discrezionalità.
A proposito di costi. Dai e dai, a ottobre la giunta regionale decide di bandire una gara per l'affidamento delle polizze a una nuova società di brokeraggio. Habemus gara. Quattro le società in corsa: ha vinto l'americana Willis con l'Arenabroker di Verona. Provvigione prevista: l'1% contro il 14 di Assidoge. Da almeno 10 milioni l'anno si precipita a un esborso di poco più di 600 mila euro. Ma qualcuno aveva offerto anche lo 0,40 per cento. Quando si dice il mercato.
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