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Questo articolo è stato pubblicato il 11 giugno 2014 alle ore 12:06.
L'ultima modifica è del 11 giugno 2014 alle ore 12:33.

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Nel 2013 il gioco d'azzardo ha movimentato 84 miliardi e 728 milioni. Ma non è questo l'unico dato che viene reso noto oggi a Roma, presso la sede della Caritas Italiana, nel corso dell'assemblea annuale delle Fondazioni Antiusura associate alla Consulta nazionale. Nel corso dei lavori viene infatti presentata la ricerca, a cura del sociologo Maurizio Fiasco, dal titolo "Il gioco d'azzardo e le sue conseguenze sulla società italiana. Il peso del gioco illegale nelle province italiane" (vedi la classifica).

Le province che assorbono nell'azzardo quote in termini percentuali più alte del reddito privato disponibile (e quindi il denaro delle famiglie) sono in prevalenza quelle delle regioni meridionali, con le eccezioni di Pavia e di Rimini.
Per la località romagnola la spiegazione è molto semplice, e analoga a quella che si presenta quando si analizzano altri fenomeni "pesati" in rapporto alla popolazione (per esempio i reati denunciati per territori provinciali): l'eccezionale presenza della popolazione stagionale dei turisti che arriva a decuplicare la numerosità dei cittadini residenti, e quindi iscritti nelle anagrafi dei vari comuni che compongono il "distretto delle vacanze e dei divertimenti".

Analogo fenomeno, con valori più contenuti, si ripropone nelle località rivierasche e in aggregati di comuni prossimi alla frontiera e/o con tradizionali istallazioni di case da gioco in funzione molti decenni prima del boom dell'offerta: parliamo di Como, contigua a Campione d'Italia; Imperia, prossima al casinò di Sanremo; Verbania, anch'essa confinante col territorio elvetico (dove c'è ampia offerta di sale con specchi e roulette). Secondo il sociologo Fiasco, la dimestichezza delle popolazioni comasche e di Verbania con la rete oltreconfine dei casinò ne ha favorito l'apprendimento di una "cultura d'uso" del gioco di fortuna, che si è poi riverberata sull'offerta "interna".
Nelle prime venticinque province, per incidenza del consumo di gioco sul reddito, undici sono del sud; cinque del centro sud; due del centro; tre del centro nord; quattro del nord.
Napoli è l'unica grande provincia italiana a superare il saggio del 5% del reddito procapite (cioè quello di un euro ogni 20) destinato all'alea. Per la precisione quello partenopeo – con il valore di 6,96, e parliamo della sola componente registrata formalmente – è il contributo più imponente al gioco industrializzato di massa, in rapporto alla ricchezza ufficialmente censita.
r.galullo@ilsole24ore.com

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