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Questo articolo è stato pubblicato il 12 giugno 2014 alle ore 13:53.
L'ultima modifica è del 12 giugno 2014 alle ore 13:56.

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Per la Procura di Reggio Calabria Chiara Rizzo è una "mente" delle schermature societarie del patrimonio del marito, Amedeo Matacena, condannato in via definitiva a 5 anni e 4 mesi per concorso esterno in associazione mafiosa. Lo scopo? Sottrarle ad eventuale confisca, soprattutto dopo che la condanna è passata in giudicato. Per la difesa è invece una ragioniera (è questo il suo titolo di studio), senza alcuna attività stabile (è quello che dichiara il 29 maggio alle 15.52 davanti ai pm Giuseppe Lombardo e Francesco Curcio), che non ha interessi illegittimi.

E così, mentre la Procura sta studiando l'ipotesi (per lei e altri indagati) di favoreggiamento reale (motivo per il quale ieri la difesa rappresentata da Carlo Biondi e Bonaventura Candido si è rifiutata di discutere della memoria prodotta dalla Procura, proprio perché non era integrativa del precedente capo di imputazione ma del tutto nuova) e mentre la Dia di Reggio Calabria ha messo a disposizione una filiera societaria in Italia e all'estero dei coniugi Matacena, che spazia in quasi tutti i cinque continenti, lei, Chiara Rizzo, in una memoria presentata ieri smentisce tutto o quasi. Nella memoria i legali Biondi e Candido chiedono anche che la loro assistita venga scarcerata ma il cuore della memoria sono proprio gli affari (veri o presunti, comunque tutti da provare).

Secondo Rizzo, la nota del Monte dei Paschi del 27 maggio 2014 smentisce l'assunto secondo lei, nonostante non rivestisse alcun ruolo all'interno della società Amadeus, avesse la disponibilità dei relativi conti correnti e su questi operasse illegittimamente.
«Dalla nota è emerso in maniera incontrovertibile che, invece – spiegano i legali – la Rizzo non avesse, né avesse mai avuto, alcuna delega di firma sui citati conti e pertanto è evidente che non ha posto in essere alcun atto dispositivo afferente la citata Amadeus Srl». Da ciò discenderebbe che l'ex modella, con residenza a Montecarlo, non possa avere utilizzato provviste provenienti dalla società né per se né in favore del marito.

Rizzo ha anche avuto modo di giustificare e spiegare (ma non sembra aver convinto i pm che, anzi, hanno dato mandato di scavare ancora sulla filiera societaria) i contatti e i rapporti con soggetti a vario titolo operanti nel settore finanziario dalla stessa contattati (anche in qualche caso, secondo lei, con la presentazione da parte dello Scajola) al solo fine di far rientrare in Italia una somma di circa 300mila dollari donatale dalla suocera e parcheggiata su un conto estero nella sua esclusiva disponibilità.

I tentativi di far rientrare la somma (lei afferma donatale per l'acquisto di una casa dalla quale la Rizzo aveva poi desistito) non sortirono gli effetti sperati in quanto gli istituti bancari contattati avevano negato il supporto all'operazione in assenza di documentazione idonea al trasferimento internazionale.

Solo di recente, secondo la ricostruzione della Rizzo, grazie ad un funzionario di banca conosciuto personalmente dalla stessa Rizzo, il problema del rientro dell' importo (su un conto corrente dalla stessa a Monaco) stava trovando soluzione. Come? Alla faccia di chi dice che i rapporti fossero pessimi (e solo loro sanno come stanno effettivamente le cose), con l'aiuto della suocera, che anche nell'interrogatorio aveva chiarito che l'importo era lo stesso da lei in precedenza donato alla propria nuora e bonificato attraverso un proprio conto corrente a Monaco. Il carcere di Rizzo ha interrotto il perfezionamento dell'operazione bancaria.

Chiara Rizzo ha anche avuto modo di chiarire e giustificare il senso e le ragioni di alcune intercettazioni riguardanti richieste di bonifici in proprio favore. Si trattava di piccole somme di denaro (necessarie al sostentamento proprio e dei propri figli) alla stessa dovute in forza di contratti di consulenza con soggetti che stavano ritardando l'effettuazione dei saldi.

Rizzo ha anche chiarito e giustificato un incontro avvenuto in Brianza (a Bernareggio), messo nel mirino della Procura e che invece per lei avrebbe fruttato un contratto di procacciatrice di affari per conto della Tecnofin Srl. Un incontro avvenuto il 15 maggio 2014, non alla presenza dello Scajola.

Per quanto attiene, infine, al progetto di fusione inversa (dalla Procura ritenuto strumento preordinato alla schermatura del patrimonio considerato nella disponibilità di Matacena) Rizzo ha specificato di essere beneficiaria (non fittizia) delle quote sociali trasferitele dal marito sin dal 2004, quando non era intervenuta (né prevista) la condanna d Matacena per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Vero è che la vicenda giudiziaria nei suoi confronti era in pieno corso.

Il citato progetto di fusione inversa non sarebbe comunque per la difesa di Rizzo un'operazione idonea a schermare alcunché, come risulterebbe dall'annullamento sul punto dell'ordinanza custodiale nei confronti degli altri co-indagati.
È come una partita scacchi. Appena iniziata.

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