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Questo articolo è stato pubblicato il 13 giugno 2014 alle ore 06:38.
L'ultima modifica è del 13 giugno 2014 alle ore 06:56.

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Il crollo delle forze militari e di polizia irachene di fronte all'offensiva qaedista nel nord ovest del paese ha numerose cause ma la più evidente è senza dubbio motivazionale. Soldati e poliziotti non combattono e i loro comandanti, o per consapevolezza della scarsa combattività dei loro uomini o per calcolo, hanno ordinato la ritirata. La spaccatura tra sciiti e sunniti accentuata dal governo di Nouri al-Maliki ha determinato un incremento delle diserzioni soprattutto tra militari e agenti sunniti che, pur se in buona parte lontani dalle posizioni dei qaedisti, non intendono morire per un governo che li ha emarginati.
I problemi di tenuta delle forze armate irachene erano emersi già in gennaio quando alcune migliaia di qaedisti avevano occupato molti centri della provincia di al-Anbar. In sei mesi 42mila dei 270mila soldati che schiera l'esercito iracheno non sono riusciti a riprendere stabilmente la provincia e, negli ultimi giorni, i miliziani sono dilagati a Samarra e poi in tutto il nord.
Le diserzioni dei sunniti hanno costretto l'esercito a colmare i vuoti con reclute sciite inesperte, terrorizzate dalla superiorità dei miliziani qaedisti e che in gran parte hanno a loro volta disertato o si sono sottratte ai combattimenti. Il governo ha così perso il controllo di una vasta area inclusi i sobborghi di Baghdad dove il carcere di Abu Ghraib è stato chiuso per il rischio che i qaedisti lo occupassero liberando i compagni reclusi.
Dopo aver a lungo minimizzato il problema, Baghdad ha minacciato martedì la pena di morte per i disertori e ha chiesto l'intervento delle forze aeree statunitensi, forse anche per frenare il panico che dilaga nella capitale. Affetto da inefficienze e corruzione come tutte le istituzioni del paese, l'esercito paga inoltre lo scarso addestramento delle sue 14 divisioni, specie nelle operazioni contro-insurrezionali sulle quali avevano lavorato in modo specifico i consiglieri militari statunitensi rimasti nel paese fino al 2011. Oggi gli americani hanno ancora molti contractor in Iraq che si occupano però di manutenzione e gestione di mezzi e strumentazioni. Washington aveva investito 14 miliardi di dollari nell'addestramento delle forze improntandolo all'anti guerriglia. Un patrimonio di conoscenze che dopo tre anni è andato in gran parte perduto a causa di un ritiro statunitense prematuro. Le truppe irachene sono state cacciate senza combattere anche da Kirkuk, centro petrolifero occupato ieri dalle truppe curde, al momento l'unica forza armata in grado di tenere testa ai qaedisti.
Lo sfaldamento dei reparti iracheni stride con gli oltre 24 miliardi di dollari spesi negli ultimi anni dall'Iraq in armamenti sofisticati. Dagli Stati Uniti sono in consegna 36 caccia F-16, 24 aerei antiguerriglia AT-6C e 30 elicotteri da attacco Apache oltre a un centinaio di carri Abrams, centinaia di veicoli e blindati più armi e missili. Altri mezzi e tank T-72 sono stati acquistati dall'Ucraina mentre in Russia sono stati spesi 4,3 miliardi per missili antiaerei Pantsir ed un centinaio di elicotteri.
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