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Questo articolo è stato pubblicato il 14 giugno 2014 alle ore 08:12.

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BARI. Dal nostro inviato
Il manifatturiero italiano è vivo. Filiere di eccellenza che competono sui mercati internazionali, sfruttando il potenziale di innovazione e di esportazione delle medie imprese italiane, in un mix virtuoso con le multinazionali presenti sul territorio. È la formula del successo, per esempio, del distretto della meccanica di Bari-Modugno - 2 miliardi di euro il valore l'esportato nel 2013 - che, non a caso, ha fatto da cornice ieri a Bari all'assemblea annuale di Federmeccanica.
«Ci guida l'orgoglio – ha esordito il presidente di Federmeccanica, Fabio Storchi -. Nel 2013 abbiamo raggiunto risultati storici, con un export di 190 miliardi di euro su una produzione complessiva di 400 miliardi. I fatti indicano che l'industria meccanica ha un ruolo fondamentale nell'innovazione».
Ma una cosa sono il medium hi tech italiano e le eccellenze territoriali, un'altra è il Paese, che vive un paradosso: «Da una parte – spiega Storchi – l'industria italiana è forte e competitiva; dall'altra presenta criticità determinate, in larga misura, dal contesto nazionale nel quale opera».
Federmeccanica prova quindi a ripartire dai fondamentali. «Le imprese italiane - afferma Storchi – hanno bisogno di risorse umane di valore». Con l'obiettivo di promuovere percorsi di alternanza scuola-lavoro, l'associazione ha sottoscritto ieri con il ministero dell'Istruzione un progetto pilota che coinvolge un centinaio di istituti e che introduce l'obbligatorietà di 600 ore di alternanza nel triennio e la coprogettualità («un'opportunità di formazione continua, un primo passo nell'adeguamento degli strumenti della nostra scuola» ha detto ieri il ministro Stefania Giannini in un videomessaggio), inseguendo il sistema duale già sperimentato con successo nel Nord Europa. La questione della qualità della forza lavoro richiama poi la necessità di costruire un nuovo modello di relazioni industriali. Storchi ha invitato ieri i sindacati «fin da subito ad un confronto a 360 gradi», chiedendo di archiviare l'approccio conflittuale, in particolare sui temi legati «alla rappresentanza, all'esigibilità e al rispetto delle regole». Il presidente di Federmeccanica ha chiesto che vadano lasciati «spazi alla contrattazione aziendale in tutti i casi in cui ci siano le condizioni e la volontà di procedere in tal senso», per raggiungere obiettivi economici e di flessibilità. «Il salario di produttività - ha poi aggiunto – deve potere essere interamente decontribuito e detassato anche quando nasce da un'autonoma decisione dell'imprenditore». L'azione di Federmeccanica sarà guidata, lungo questo solco, dal Manifesto delle relazioni industriali. «È necessario intervenire - ha detto Storchi - sulle tipologie contrattuali, per rendere più flessibile l'applicazione dei contratti. Questo vale anche per il contratto a tempo indeterminato, che deve essere più flessibile e attrattivo per le imprese».
Guardando allo sviluppo, infine, Storchi ha posto l'accento sulla necessità di «investimenti fissi per accrescere la domanda interna - ha detto -. Parliamo di costruzioni, di macchine e attrezzature, di mezzi di trasporto. Non ci si può fidare solo dell'export - ha esortato - il mercato interno va rilanciato».
In conclusione, il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi ha presentato i contenuti del Laboratorio di Sistema, progetto di ricerca per studiare le best practices – alcune presentate nella tavola rotonda di ieri, moderata dal vicepresidente di Confindustria con delega a Mezzogiorno e politiche regionali Alessandro Laterza e dedicata all'automotive barese, con la partecipazione di Faver spa, Ge oil and gas-Nuovo Pignone, Robert Bosch spa, Skf Industrie – e renderle modello organizzativo per tutte le imprese del settore. Un cammino biennale avviato nella convinzione che in questi anni sono state «le imprese ad avere fatto la spending review, quella vera – ha detto –. Hanno tagliato tutto il tagliabile, hanno cambiato il loro modello di business». Molte hanno scelto di rientrare in Italia, senza clamore, perchè «la delocalizzazione è meno diffusa, nelle scelte strategiche è meno conveniente». Ora tutti gli sforzi «sono concentrati su un obiettivo primario - ha concluso –: ridare lavoro al Paese». Partendo dalla consapevolezza che «senza manifattura non c'è crescita, non ci sono servizi avanzati connessi, le competenze non vengono valorizzate».
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