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Questo articolo è stato pubblicato il 16 giugno 2014 alle ore 09:18.
L'ultima modifica è del 16 giugno 2014 alle ore 09:19.

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(Afp)(Afp)

San Giovanni in Persiceto. Un paese della bassa padana con un nome troppo lungo perfino per i cartelli stradali: le indicazioni si limitano a un «San Giovanni in P.» più che sufficiente perchè tanto, in mezzo a quelle terre riarse dal sole, prima o poi nel posto giusto ci capiti quasi per forza. Un paese dove il panorama scorre piatto tra campi coltivati e piccoli canali di irrigazione, con le cascine piazzate nel mezzo da secoli a segnare il tempo che passa. Un paese dove l'ultima cosa che ti viene in mente è di saltare, perchè da quelle parti la bassa padana è così bassa che il salto è, semplicemente, un'operazione inutile.

Eppure proprio lì, a San Giovanni in Persiceto scritto per intero, ha iniziato a saltare Marco Belinelli: ma dove vuoi arrivare Marco? Che cosa salti a fare che qui non serve a niente? Marco, imperterrito, ha continuato a saltare, a cercare di raggiungere con la punta delle dita la retina, poi il tabellone, poi il ferro proprio come fanno centinaia di migliaia di ragazzini che giocano a basket. Solo che una volta raggiunto il ferro non si è fermato più: ha imparato a schiacciare e a centrare il canestro da distanze siderali, è arrivato nella Terra promessa dell'Nba e si è ritagliato uno spazio tra mille sacrifici e difficoltà, tra i campionissimi di tutto il pianeta.

C'erano gli altri italiani, quelli sui quali tutti avrebbero scommesso per una carriera più luminosa della sua: Danilo Gallinari, il cui immenso talento è rimasto finora bloccato da un serie di infortuni; Andrea Bargnani, con i suoi due metri e tredici attesi a traguardi finora mai raggiunti. Ma dove vuoi arrivare Marco? Ma cosa salti a fare, che gli altri saltano più di te?

Salto dopo salto Marco è arrivato proprio dove voleva arrivare: è stato il primo italiano a vincere la gara dei tre punti all'All Star Game, a poter guardare negli occhi Larry Bird e dirgli «Sai Larry, quella gara l'ho vinta anch'io».

Salto dopo salto ha rinunciato a ingaggi più ricchi per mettersi in gioco in una squadra in lotta per il titolo: così è arrivato a San Antonio, alla corte di quel Gregg Popovich che sa riconoscere i giocatori di carattere anche solo annusandoli e che butta nel cestino le stelle se non intravede in loro le stimmate del sacrificio.

Salto dopo salto all'anello c'è arrivato, Marco Belinelli. Non solo all'anello di ferro del canestro, che con i suoi 45 centimetri di diametro accoglie in modo amorevole i tiri morbidi e le schiacciate dirompenti, ma all'Anello con la "A" maiuscola: quello che solo i campioni dell'Nba, i campioni dei campioni, possono mettere al dito. Anche qui è il primo italiano a farlo, da protagonista. Se nelle serie di finale non ha giocato molto è perchè, negli incroci difensivi, la presenza tra gli avversari di un certo Le Bron James ha limitato il suo minutaggio. Questione di rotazioni, di composizione dei quintetti. Ma la firma ce l'ha messa comunque anche nella partita decisiva, quella Gara 5 in cui San Antonio ha disintegrato Miami 104-87: 2/3 al tiro, due rimbalzi, un assist. Coach Popovich, accogliendolo alla propria corte, aveva visto giusto.

E adesso, a San Giovanni Persiceto, saltano tutti come indemoniati. E chi se ne frega del caldo, dell'afa, del sole che spacca le teste degli uomini con raggi che sembrano mazzate. E chi se ne frega se San Giovanni in Persiceto è in mezzo alla bassa padana, dove saltare non serve a niente. Oggi saltano tutti, pazzi di gioia. Perchè è lì, in mezzo a campi, canali e cascine che è nato il primo campione Nba che l'Italia abbia mai avuto. È lì che è nato Marco Belinelli. Salta Marco, salta. Adesso sappiamo perchè.

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