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Questo articolo è stato pubblicato il 19 giugno 2014 alle ore 06:38.

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L'Argentina pagherà ma senza sottostare ai diktat della Corte suprema americana. Quarantadue anni, basette alla Elvis Presley, look sbarazzino, il ministro dell'Economia dell'Argentina, Axel Kicillof, ha spiegato la linea del governo di Buenos Aires a fronte di un possibile default. Per scongiurarlo, s'intende. Lo ha fatto in Parlamento, con toni altalenanti, a tratti duri, a tratti concilianti. L'ipotesi più probabile è che si avvii una trattativa con gli americani e già un primo incontro ieri in serata in un tribunale di New York era previsto tra i legali del governo argentino e quelli degli hedge fund ai quali la Corte suprema americana ha dato ragione.
L'Argentina rimborserà ma con modalità diverse da quelle imposte dalla Corte Usa. Il governo di Buenos Aires, nella complessa vicenda del rimborso del debito, sceglie una "terza via": Kicillof annuncia che il governo intende avviare i passi necessari «per pagare il debito ristrutturato in Argentina e sotto la legge argentina», ma ha aggiunto che i "fondi avvoltoi" non riusciranno a scardinare la ristrutturazione del debito già completata. È questa la strategia finanziaria di Buenos Aires che verrà dettagliata nelle prossime due settimane.
La sentenza della Corte suprema degli Stati Uniti, ricordiamo, obbliga l'Argentina a pagare 1,33 miliardi di dollari agli hedge funds (Nml e Aurelius) che non hanno accettato il concambio. Solo dopo aver onorato questo debito, la sentenza consente il pagamento delle cedole a chi ha aderito al concambio del 2005 e 2010. Una clausola capestro.
Il ministro Kicillof ha spiegato che se il Governo pagasse 1,33 miliardi di dollari, in contanti e in una sola tranche, agli hedge funds, si aprirebbe il baratro di un'immediata richiesta, per 15 miliardi di dollari, da parte di altri creditori che non hanno accettato le offerte del governo argentino. Ma 15 miliardi di dollari costituiscono la metà delle riserve della Banca centrale argentina. Ecco perché la presidenta Cristina Fernandez de Kirchner ha accusato il giudice Thomas Griesa di voler spingere l'Argentina verso il default. In questa spirale perversa si arriverebbe poi a 120 miliardi di dollari, perché chi ha accettato il concambio potrebbe richiedere ex post le stesse condizioni di coloro, gli hedge fund, che hanno ottenuto il rimborso completo. Insomma si profilerebbe un quadro drammatico, in cui al default argentino seguirebbe una grave instabilità finanziaria internazionale. Anche per questo il Fondo monetario internazionale ha preso le distanze dalla decisione della Corte americana, ben consapevole delle conseguenze esplosive che ne deriverebbero. Gerry Rice, portavoce dell'Fmi, lo ha detto chiaro: «Siamo preoccupati per le implicazioni più ampie che conseguirebbero alla decisione della Corte».
Il ministro dell'Economia ha aggiunto che non è possibile negoziare con i fondi avvoltoio, operativi con un metodo ben noto: acquistare a prezzi stracciati titoli in default per poi reclamare nei tribunali il 100% del loro valore. Una strategia già utilizzata in Perù, Ecuador e Panama.
Kicillof ha poi ricordato che non sono stati i governi di Nestor Kirchner e di Cristina Fernandez a provocare un indebitamento così grave, quello degli anni '90. (La coppia presidenziale governa dal 2003, ndr). Bensì i governi precedenti, guidati da Carlos Menem, sempre appoggiati dal Fondo monetario internazionale.
I margini di trattativa che il governo argentino sta cercando, si scorgono nelle parole di Thomas Griesa, il giudice americano considerato arcinemico. «Se l'Argentina non ce la fa, vengano a negoziare alla Corte».
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1,3 miliardi
Il debito argentino
La Corte Suprema Usa ha ordinato di rimborsare i fondi americani

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