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Questo articolo è stato pubblicato il 20 giugno 2014 alle ore 09:24.
L'ultima modifica è del 20 giugno 2014 alle ore 09:28.

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Meno complicazioni per le imprese che operano con l'estero ma il decreto semplificazioni – atteso al Consiglio dei ministri di oggi – rischia di perdere per strada due misure molto attese da aziende e professionisti che le assistono: l'allungamento da tre a cinque bilanci consecutivi chiusi in rosso che possono far scattare la maxi Ires al 38% sulle società e l'abolizione definitiva della solidarietà sugli appalti in ambito fiscale, che però potrebbe confluire nel decreto sugli appalti. Il piatto forte per il Governo resta, comunque, la dichiarazione precompilata che dal 2015 arriverà a casa di tutti i lavoratori dipendenti e pensionati.

Inoltre lo schema di decreto legislativo che attua la delega fiscale (legge 23/2014) tenta di eliminare alcuni oneri "pesanti" per chi opera con l'estero. A cominciare dalle lettere d'intento comunicate all'agenzia delle Entrate: un adempimento oggi totalmente a carico di chi vende bene a operatori che svolgono abitualmente attività di esportazione e non sono obbligati al pagamento dell'Iva. Tanto per capire quanto sia un adempimento diffuso, basti pensare che attraverso i canali telematici delle Entrate sono transitati oltre 410mila invii di lettere d'intento nel 2013 e quasi 265mila nei primi cinque mesi di quest'anno. Ma non solo, perché errori o contestazioni possono portare a contestazioni, all'applicazione di sanzioni e a conseguenti contenziosi tributari.

La procedura dovrebbe essere completamente riscritta in base al principio che sarà l'esportatore a doversi attivare con il Fisco se vuole ottenere l'esenzione dall'Iva: sarà a suo carico l'invio delle dichiarazioni d'intento all'Agenzia e dovrà poi consegnare la ricevuta di trasmissione al fornitore. Quest'ultimo poi effettuerà l'operazione senza applicare l'Iva e dovrà riepilogare nella dichiarazione annuale tutte le transazioni avvenute nei confronti degli esportatori abituali.

Non solo chi opera già con l'estero ma anche chi vuole iniziare a farlo potrebbe trovare meno ostacoli. Le imprese che intendono effettuare scambi intracomunitari dopo l'attribuzione della partita Iva devono, infatti, essere registrate in un archivio elettronico che si chiama Vies (Vat information exchange system). Ora chi chiede di essere incluso deve restare in una sorta di "limbo" e aspettare 30 giorni prima di procedere a scambi commerciali con altri Paesi Ue: un intervallo temporale entro il quale il Fisco può negare l'autorizzazione in ambito comunitario. Anche qui si punta a un cambio di rotta. La richiesta del contribuente di operare anche nell'Ue è destinata a produrre un'immediata iscrizione nel Vies. Con un meccanismo di esclusione che scatta con una prolungata inattività che si presume dal mancato invio degli elenchi Intrastat, in cui vanno riepilogati gli scambi di beni e servizi da segnalare all'amministrazione finanziaria. E anche gli Intrastat dovrebbero essere oggetto di un restyling che, comunque, dipenderà da un decreto attuativo delle agenzie delle Dogane e Monopoli con Entrate e Istat. Non c'è l'esclusione (totale o parziale) – auspicata da più parti – delle comunicazioni relative ai servizi effettuati o ricevuti ma uno snellimento dei dati da inviare: il Fisco dovrebbe "accontentarsi" della partita Iva delle controparti comunitarie, del valore totale delle transazioni, del codice che identifica l'oggetto dell'operazione e del Paese di pagamento. Sempre rimanendo in tema Intrastat si cerca di mitigare il regime delle sanzioni applicate per l'inesatta o mancata indicazione dei dati che vengono utilizzati per finalità statistiche e che oscilla da 516 a 5.164 euro. Le penalità potranno essere evitate – qualora venisse confermato l'intervento allo studio del Governo – se le informazioni mancanti o errate saranno integrate o corrette dal contribuente anche a seguito di un'espressa richiesta.

E si va verso una significativa limitazione dell'obbligo di comunicare al Fisco gli scambi con controparti commerciali in Paesi black list (ossia ancora considerati paradisi fiscali dall'Italia). L'obbligo di segnalazione è destinato a scattare soltanto per le operazioni superiori a 10mila euro di valore: un innalzamento notevole rispetto alla soglia attuale dei 500 euro, che potrebbe drasticamente ridurre gli invii per transazioni sporadiche e non abituali. E tra l'altro la comunicazione dovrebbe diventare annuale e non più mensile o trimestrale (a seconda del volume di cessioni o acquisti di beni e servizi realizzati nei periodi precedenti) così come avviene adesso.

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