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Questo articolo è stato pubblicato il 20 giugno 2014 alle ore 21:18.

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Riaperte al pubblico le Gallerie di palazzo Zevallos Stigliano, riallestite da Intesa Sanpaolo con un nucleo di oltre 120 opere. Nelle Gallerie d'Italia, inaugurate alla presenza del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, è possibile ripercorre una storia delle arti figurative in città, dal Seicento ai primi anni del Novecento.

Valorizzare le collezioni d'arte
Palazzo Zevallos Stigliano dal 1898 è la sede storica della banca a Napoli. Nel 2007 un'area del piano nobile dell'edificio viene trasformata in un museo, dopo un intervento di restauro sui cicli decorativi ottocenteschi. Oggi, la riapertura al pubblico – si legge in un comunicato di Intesa Sanpaolo – «nasce dall'intento di valorizzare e condividere con i cittadini un nucleo di opere tratte dalle proprie collezioni d'arte. Prima fra tutte il Martirio di Sant'Orsola di Caravaggio».

Importanti interventi conservativi per le opere
L'intervento appena concluso si inserisce nel Progetto Cultura, programma pluriennale che pianifica le attività del gruppo creditizio in campo artistico e culturale. In questo contesto, l'iniziativa più ambiziosa è stata proprio la creazione delle Gallerie d'Italia, la rete dei poli museali e culturali della Banca presenti sul territorio nazionale cui appartengono, accanto a quelle partenopee, le Gallerie di Palazzo Leoni Montanari a Vicenza (aperte dal 1999 e rinnovate nel 2014) e le Gallerie di Piazza Scala a Milano (inaugurate nel 2011).
Il nuovo allestimento di Palazzo Zevallos Stigliano, secondo il progetto espositivo curato da Fernando Mazzocca, arricchisce le Gallerie con gruppi di opere di grande significato storico e valore, appartenenti al contesto culturale del Sud Italia e in particolare di ambito napoletano, provenienti dalle raccolte degli istituti di credito – per lo più Banco di Napoli e Banca Commerciale Italiana – poi confluiti in Intesa Sanpaolo. La maggior parte delle opere è stata sottoposta a importanti interventi conservativi.

Tratteggiata la storia della pittura a Napoli
L'attuale itinerario museale si articola in spazi più estesi (sette sale rispetto alle tre precedenti) e propone un'antologia in grado di tratteggiare, per grandi linee, una storia della pittura a Napoli dal Seicento al Settecento, dalla svolta naturalistica impressa dall'arrivo di Caravaggio nel 1606, fino ai fasti della civiltà borbonica. Spicca fra le opere esposte il Martirio di sant'Orsola, capolavoro estremo, poichè venne eseguito da Caravaggio nel 1610, pochi mesi prima della morte. E ancora Giuditta decapita Oloferne; Sacra Famiglia con San Francesco d'Assisi, del caravaggesco romano Angelo Caroselli; Sansone e Dalila, uscito dall'atelier napoletano di Artemisia Gentileschi; tre scene bibliche di Bernardo Cavallino e il San Giorgio di Francesco Guarini. In mostra inoltre L'Adorazione dei Magi del "Maestro degli Annunci ai pastori" e Tobia che ridona la vista al padre di "Enrico Fiammingo", alias Hendrick De Somer; Ratto di Elena di Luca Giordano e Agar nel deserto di Francesco Solimena introducono alla stagione barocca. Per il Settecento, alla compostezza idealizzata delle quattro Allegorie della Pietà di Francesco De Mura fa da contraltare il realismo di due celebri opere di Gaspare Traversi, La lettera segreta e Il concerto. Non manca il filone della natura morta a Napoli, dalla metà del Sei al primo Settecento, da Paolo Porpora a Baldassarre De Caro, passando per Giovan Battista Ruoppolo e Giuseppe Recco.

Vedute e paesaggi in mostra
Il percorso nella veduta e nel paesaggio, un genere prima ritenuto minore e che ha avuto a Napoli uno sviluppo straordinario nel corso dell'Ottocento, inizia con i quattro dipinti dell'olandese Gaspar van Wittel, considerato uno degli iniziatori del vedutismo moderno. In una prima sezione dedicata alle vedute e alla Scuola di Posillipo, la serie delle piccole tele di Anton Smink Pitloo, e ancora i dipinti di Giacinto Gigante, Gabriele Smargiassi, Salvatore Fergola, Nicola Palizzi, Domenico Morelli, Federico Rossano, Edoardo Dalbono, Edoardo Franceschini, Gioacchino Toma, Francesco Mancini, Vincenzo Migliaro, permettono di seguire l'eccezionale vicenda di un genere che ha reso la Scuola Napoletana all'avanguardia in Europa. Dalla Scuola di Posillipo, dove matura la grande eredità del paesaggismo del Grand Tour, si approda al naturalismo, della Scuola di Resina, sino alle esperienze più individuali di fine secolo.

La rappresentazione della città
Una successiva sezione consente di puntare l'obiettivo sulla rappresentazione della città, attraverso gli interni degli edifici monumentali, le strade e le scene di vita moderna che avvenivano negli spazi della socialità, come l'ippodromo, la villa comunale e il mercato. Agli ambienti urbani vengono abbinati i "tipi", attraverso i ritratti, molti incisivi, di modelli catturati per strada.Le opere di Vincenzo Gemito infine formano uno dei nuclei più importanti del grande artista. Si tratta di terrecotte, bronzi e disegni che documentano la sua straordinaria parabola artistica: un percorso intrecciato con il dramma personale di un'esistenza minata da profondi squilibri psichici, che comportarono lunghe interruzioni dell'attività creativa. Dal naturalismo più diretto delle teste giovanili modellate in terracotta si passa alla più sofisticata serie di ritratti di personaggi famosi realizzati in bronzo. Gli splendidi disegni mostrano coinvolgenti autoritratti e figure di donna – come la Zingara, uno dei più belli e particolari acquerelli di Gemito.

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