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Questo articolo è stato pubblicato il 23 giugno 2014 alle ore 17:29.
L'ultima modifica è del 23 giugno 2014 alle ore 17:52.

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Non bastano i miti distrutti come quello di Lance Armstrong e delle sue vittorie o le cronache costellate di notizie di sequestri e denunce. Il ciclista amatoriale, che non corre per grandi premi ma spesso per un prosciutto o una semplice targa, non riesce a fare a meno del doping. A dimostrarlo è il rapporto della Commissione di Vigilanza del ministero della Salute, che ha dato conto dei controlli effettuati insieme al Nas dei Carabinieri nel 2013, e che ha visto un'impennata nei test positivi in questo sport.

La percentuale di controlli positivi, si legge nel rapporto pubblicato sul sito del ministero, è aumentata in un anno del 50%, passando dal 4,4 al 6,5%, più del doppio della media di tutti gli sport controllati, sostanzialmente ferma al 3% negli ultimi anni. Peggio del ciclismo hanno fatto Body Building (16,7%), ma con un numero di controlli molto basso, ma anche Kick Boxing (13% di positivi) e sport del ghiaccio (6,7%), mentre il rugby è in calo ma resta pur sempre al 5%.

Il documento testimonia che il fenomeno non ha età, con il 35,9% dei positivi che ha più di 39 anni. «Il numero di controlli è basso rispetto al totale delle manifestazioni, ma i dati sono indicativi di un problema importante - spiega Roberta Pacifici, che rappresenta l'Iss nella Commissione -. Quest'anno abbiamo visto sempre meno positività "accidentali", come quelle al thc che non aumenta le prestazioni sportive, mentre aumentano le sostanze più impegnative, dagli ormini all'epo. Questo anche grazie ai Nas, che ci hanno guidato nella scelta delle manifestazioni da controllare».

I dati riguardano 317 manifestazioni sportive amatoriali per un totale di 1390 atleti testati. Quasi un quarto dei controlli ha riguardato gare ciclistiche, e il 15% partite di calcio. Dal punto di vista delle sostanze assunte gli anabolizzanti, testosterone in testa, "vincono" con il 35%, seguiti dagli ormoni (18,3%) e dal Thc (10%). «È un problema culturale, non entra in testa a queste persone che il doping va evitato - afferma Giuseppe Capua, primario di medicina dello Sport al San Camillo di Roma e responsabile antidoping della Figc - per quanto riguarda il ciclismo c'è un doping associato allo sforzo e all'impegno energetico, mentre alcune palestre sono "deputate" a distribuire sostanze più che a far fare esercizio fisico».

Un altro fenomeno messo in luce dal rapporto è la medicalizzazione degli atleti amatoriali, di cui il 70% dichiara di prendere qualche farmaco, soprattutto antinfiammatori. «La medicalizzazione, insieme a doping e alla dieta sono oggetto di corsi che facciamo ai giovani calciatori, che potrebbero essere presi ad esempio anche da altri sport - afferma Capua -. Un grosso aiuto per combattere il fenomeno potrebbe venire anche dai medici sportivi, ma in Italia i centri di medicina dello sport sono pochi e penalizzati dai tagli, mentre invece andrebbero potenziati, anche perché sono rimasti l'unico presidio a "incontrare" i giovani da quando non c'è più la visita militare».

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