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Questo articolo è stato pubblicato il 23 giugno 2014 alle ore 09:20.
L'ultima modifica è del 23 giugno 2014 alle ore 12:39.

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I magistrati Vittorio Teresi (s), Francesco Messineo (s-2) durante la conferenza stampa sull'operazione Fiume, l'inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Palermo che ha portato all'arresto di 17 persone, Palermo, 18 luglio 2014 (Ansa)I magistrati Vittorio Teresi (s), Francesco Messineo (s-2) durante la conferenza stampa sull'operazione Fiume, l'inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Palermo che ha portato all'arresto di 17 persone, Palermo, 18 luglio 2014 (Ansa)

Vasta operazione antimafia la notte scorsa a Palermo, con 95 provvedimenti restrittivi nei confronti di "uomini d'onore" dei mandamenti mafiosi di Resuttana e San Lorenzo. Associazione mafiosa, estorsione, danneggiamento e altri reati sono contestati a vario titolo dalla Dda di Palermo che ha coordinato le indagini. Sequestrati, inoltre, beni per diversi milioni di euro. Ricostruito l'organigramma dei due mandamenti, con l'identificazione di capi e gregari che negli ultimi anni hanno sottoposto a una soffocante pressione estorsiva numerose imprese edili e attività commerciali e hanno esercitato un diffuso condizionamento illecito dell'economia locale.

Nelle ultime due relazioni semestrali la Direzione investigativa antimafia (Dia) lo aveva scritto e ripetuto chiaro e tondo: «Cosa Nostra attraversa una fase di trasformazione, caratterizzata da un ricambio generazionale e dal delinearsi di una struttura sempre meno conforme ai rigidi schemi dei mandamenti e delle famiglie». Detto, fatto. Con l'operazione Apocalisse, condotta questa notte a Palermo, la capacità di Cosa nostra palermitana di rigenerarsi è, ancora una volta, dimostrata. Le persone arrestate sono state 95, con un particolare riguardo ai mandamenti di Resuttana e San Lorenzo.

Parliamo della zona ovest della città, fino al novembre del 2007 sotto il dominio di Salvatore Lo Piccolo, che comprende i mandamenti mafiosi di San Lorenzo (che nella documentazione sequestrata a Lo Piccolo è indicato come mandamento di Tommaso Natale ed è composto dalle famiglie mafiose di San Lorenzo, Tommaso Natale, Partanna–Mondello, Cinisi, Capaci, Carini e Terrasini) e di Resuttana.

Anche dopo la cattura di Salvatore Lo Piccolo e di suo figlio Sandro, questi mandamenti hanno continuato a caratterizzarsi, sul piano dei fenomeni criminali, per una intensa attività estorsiva, effettuata in maniera capillare sugli operatori economici dell'area e per una significativa attività di riciclaggio dei profitti derivanti dalle estorsioni e dalle altre attività illecite gestite, tra le quali va segnalato il gioco nelle sue forme lecite ed illecite (dal monopolio dei video poker al lotto clandestino), attraverso società "pulite" fittiziamente intestate a terze persone, o tramite imprese compiacenti.

Non a caso, all'adnkronos il Procuratore capo di Palermo, Francesco Messineo, ha dichiarato che l'operazione è molto importante, perchè incide su un mandamento da sempre strategico per Cosa nostra e un tempo regno incontrastato dei Lo Piccolo e da sempre al centro delle attività di controllo di Cosa nostra. Si tratta di un'operazione interforze gestita di comune accordo e in piena sintonia e condivisione delle tre più importanti forze di polizia. È la dimostrazione di un forte impegno dello Stato e della totale assenza di divisioni e conflitti e di un efficace coordinamento assicurato dalla Dda».

E proprio dei due mandamenti di Resuttana e San Lorenzo sono stati ricostruiti i due alberi genealogici, attualizzati con le ultime leve, che hanno costantemente soffocato con una feroce pressione estorsiva imprese edili e attività commerciali. Ora, per loro, sono arrivati sequestri milionari, grazie a questa operazione condotta con vecchie metodologie e senza collaborazione di pentiti, da Carabinieri, Polizia e Gdf, che hanno agito su delega del procuratore aggiunto Vittorio Teresi.

A capo del mandamento di Tommaso Natale e Resuttana secondo le indagini c'era Girolamo Biondino, fratello di Salvatore, l'autista di Totò Riina. Era da poco stato scarcerato ed era tornato a comandare il clan. Per cercare di non finire di nuovo in carcere, Biondino faceva il pensionato. Girava in autobus e non si faceva vedere in giro con altri uomini d'onore. Secondo gli investigatori era lui a tenere le fila e imporre il pizzo a tappeto nel mandamento.

Ricordiamo che, secondo la Dia, attualmente, nella provincia di Palermo ci sarebbero 78 mandamenti, comandati da 15 famiglie. L'intreccio tra storia e contemporaneità, oltre che in questi intrecci familiari, emerge da un evento che ha segnato la vita di Cosa nostra. Attraverso le vanterie di un uomo, arrestato, Domenico Palazzotto di 29 anni, sembrerebbe infatti ricostruito l'omicidio di Joe Petrosino, il poliziotto americano (era abbastanza distaccato dalle sue radici italiane), ucciso a Palermo il 12 marzo 1909 con tre colpi di pistola. Secondo quanto intercettato dalle "cimici" fatte piazzare dalla Procura, sarebbe stato uno zio del padre a uccidere Petrosin: «Ha fatto lui l'omicidio del primo poliziotto ucciso a Palermo. Lo ha ammazzato lui Joe Petrosino», avrebbe detto agli amici mentre le microspie lo registravano.

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