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Questo articolo è stato pubblicato il 26 giugno 2014 alle ore 06:39.
L'ultima modifica è del 26 giugno 2014 alle ore 06:47.

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Agli occhi di molti libici, delusi per il fallimentare processo di transizione, è una primavera incompiuta, una primavera bloccata, una primavera tradita. Con questo stato d'animo la maggior parte degli elettori si è recata ieri nei 1.600 seggi per votare i 200 membri del nuovo Parlamento. Il timore condiviso da una larga fetta della popolazione è che il voto di ieri possa sfociare in un altro governo ad interim, debole e privo di reali poteri come i precedenti, quando invece ci sarebbe un disperato bisogno di un esecutivo forte capace di porre fine allo strapotere delle milizie e riportare la sicurezza e l'ordine in un Paese dilaniato dalla violenza.
Già prima del voto i numeri non erano incoraggianti: solo un milione e mezzo di elettori si sono registrati, circa la metà della storica elezione parlamentare del luglio 2012, il primo vero voto in più di mezzo secolo. Nonostante il grande dispiegamento di militari e poliziotti - gli incidenti sono stati limitati e solo pochi seggi sono rimasti chiusi - l'affluenza fino a ieri pomeriggio è stata deludente: meno di un terzo degli aventi diritto a un'ora e mezza dalla chiusura dei seggi. Eppure la posta in gioco era alta: la formazione della Camera dei rappresentanti è il primo passo per arrivare alle elezioni presidenziali e allontanare il Paese dal baratro su cui si è affacciato. Sono ormai passati quasi tre anni dalla morte di Muammar Gheddafi, ucciso il 20 ottobre del 2011, salutata dalla popolazione come la fine di una cruenta guerra civile. Partita sotto i migliori auspici, la rivoluzione è poi degenerata in una lotta tra Tripolitania e Cirenaica, decisa a ottenere una forma di federalismo se non di secessione. Uno scenario in cui i movimenti jihadisti agiscono indisturbati in diverse città orientali.
Per tracciare un quadro della situazione sono sufficienti pochi numeri. Quattro sono i premier che si sono succeduti in poco più di un anno; 270mila barili al giorno è l'attuale produzione petrolifera. Un volume molto lontano dagli 1,4-1,5 milioni di barili al giorno estratti esattamente un anno fa. Quattro miliardi di dollari sono le entrate petrolifere nei primi quattro mesi del 2014, quanto la Libia incassava, nel 2012, in un solo mese. Quarantotto miliardi di dollari è il nuovo e ridotto budget - approvato domenica - stanziato per il 2014. Oltre un milione l'esercito dei dipendenti pubblici su una popolazione di 5-6 milioni. Decine di migliaia i combattenti dispersi nelle agguerrite milizie. Quasi 54mila gli immigrati provenienti dalla Libia e sbarcati in Italia dal 1° gennaio al 20 giugno del 2014. Oltre dieci volte di più rispetto ai 4.323 immigrati dello stesso periodo del 2013.
Il voto del 2012 sembra un lontano ricordo. Allora la coalizione "laica" guidata da Mahmoud Jibril, l'ex premier del Consiglio nazionale di transizione, aveva travolto i partiti islamici. Le lotte clandestine tra i Partiti hanno poi portato a un clima di ingovernabilità. Per evitare che si ripeta uno scenario del genere, questa volta i partiti politici non hanno potuto correre. «Ben 168 seggi, andranno a candidati indipendenti - spiega Arturo Varvelli ricercatore dell'Ispi e autore di diversi saggi sulla Libia - mentre i restanti 32 seggi saranno assegnati alle donne. Il fatto che si tratti di candidati indipendenti presenta vantaggi e svantaggi. Sul fronte politico, l'esito del voto potrebbe rispecchiare meglio le realtà locali. Un fatto positivo, anche perché la Libia resta un Paese a forte presenza tribale. Ma quanto ai tempi di formazione per il nuovo governo non è improbabile che trascorrano diversi mesi». Nel frattempo l'attuale premier si trova davanti a una situazione insostenibile. Sarà decisivo cercare di risollevare la produzione petrolifera. L'ondata di scioperi e proteste, scoppiata nel luglio del 2013 nella Libia orientale, ed estesasi poi al resto del Paese, ha messo in ginocchio l'industria petrolifera nazionale. Nei momenti più critici la produzione è scesa sotto i 100mila barili al giorno. Gli attuali 270mila bg sono troppo pochi per un Paese in cui petrolio e gas rappresentano il 95% dell'export e quasi tutto il budget. Per quest'anno il governo conta di raccogliere 22 miliardi di entrate energetiche, meno della metà rispetto ai 51 miliardi incassati nel già difficile 2012. «Non accadrà. La continua chiusura dei porti petroliferi è una catastrofe», ha avvertito Musbah Alkari, direttore del dipartimento delle riserve valutarie.
Come finanziare il budget 2014 capace di creare un deficit di 25 miliardi? I vari governi hanno attinto dalle ricche riserve valutarie della Banca centrale. Risultato: erano 132,5 miliardi di dollari 10 mesi fa. Oggi sono 109. Di cui molti investiti all'estero in asset non liquidi. Il voto di ieri non sarà probabilmente l'atteso punto di svolta, ma è importante. Forse permetterà di comprendere meglio anche le reali intenzioni del potente generale Khalifa Haftar, il convitato di pietra di queste elezioni. La sua guerra personale contro le milizie islamiche in Cirenaica continua ad andare avanti. Fin dove voglia arrivare il nuovo "uomo forte" della Libia, che piace a Washington e al Cairo, non è ancora chiaro.
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