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Questo articolo è stato pubblicato il 27 giugno 2014 alle ore 06:40.
L'ultima modifica è del 27 giugno 2014 alle ore 09:31.

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ROMA - La fronda resiste ma non preoccupa. «Siamo ad un passo dalla riforma del Senato, è normale che nel corso del dibattito ci sia la presentazione di diversi emendamenti ma il percorso procederà secondo la direzione e con i tempi previsti», assicura il vicesegretario Pd Lorenzo Guerini. Ad ora sono 18 i senatori della maggioranza che hanno presentato emedamenti contrari alle proposte dei relatori e pronti a votare «no». Il nodo principale resta l'elezione dei senatori che i malpancisti del Pd guidati da Chiti e Casson, vorrebbero mantenere diretta e non attraverso i consigli regionali.

A questo punto diventano decisivi i voti di Lega e Fi. Silvio Berlusconi ha ribadito di voler sostenere l'intesa raggiunta nonostante i malumori che serpeggiano anche all'interno di Fi. Ieri nella riunione del gruppo al Senato, sia Denis Verdini che Giovanni Toti hanno confermato che «si va avanti» sull'accordo raggiunto con il ministro Boschi nonostante sia Augusto Minzolini che altri tre senatori abbiano preannunciato che senza il ritorno all'elezione diretta voteranno «contro». Gli azzurri hanno però ottenuto dal Governo la disponibilità a rivedere i criteri per l'assegnazione dei seggi al Senato che sarà su base proporzionale. «È un argomento serio», ha sottolineato la presidente della commissione Affari costituzionali, la democratica Anna Finocchiaro, confermando quindi che su questo punto Fi sarà soddisfatta.

Anche il Ncd di Angelino Alfano ha presentato emendamenti non "in linea". A partire da quelli sull'elezione diretta dei senatori e sull'immunità. Ma come spiega Gaetano Quagliariello c'è «un'ampia disponibilità» a discutere: «Non faremo le barricate su questo o quel punto – ha aggiunto il coordinatore di Ncd – purchè la riforma abbia una sua coerenza». Una coerenza che probabilmente va anche oltre la riforma del Senato e investe quella elettorale. La convinzione nel Pd e in Fi, è che i partiti minori stiano puntando i piedi per ottenere margini di trattativa sull'Italicum, primo fra tutti: l'abbassamento delle soglie di sbarramento. E in quest'ottica andrebbe interpretata anche la proposta di legge di Ncd sul presidenzialismo, presentata ieri assieme a quella del fisco e della giustizia.
Lunedì in commissione Affari costituzionali si comincerà a votare sui venti emendamenti presentati da Finocchiaro e dall'altro relatore Roberto Calderoli, che rappresentano la sintesi dell'intesa raggiunta tra Pd, Fi e Lega sul superamento del bicameralismo perfetto e l'elezione indiretta dei senatori.

A questi si sono aggiunti ieri i subemendamenti presentati da 16 senatori del Pd (Chiti ed altri), più quelli di Mario Mauro (Pi), che ha definito «autoritaria» la riforma del governo, di Salvatore Buemi e di 17 esponenti dell'opposizione (Sel ed M5s) che puntano a rimettere in dicussione i capisaldi del ddl del governo: elezione indiretta e superamento del bicameralismo. Ma l'esito del voto in commissione, dopo le sostituzioni dei dissidenti Mineo e Mauro, non è a rischio. È il successivo passaggio in aula quello che desta maggiori preoccupazioni. Attualmente la maggioranza può contare a Palazzo Madama su 169 voti su 315. Senza Fi e Lega la riforma non avrebbe i numeri. Ma quell'accordo per ora resiste. «Lunedì si comincia a votare, siamo alla vigilia di una riforma epocale», ha detto ieri sera il ministro Maria Elena Boschi che ritiene a portata di mano anche una «soluzione ragionevole» sull'immunità parlamentare dei senatori.

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