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Questo articolo è stato pubblicato il 28 giugno 2014 alle ore 08:13.
L'ultima modifica è del 28 giugno 2014 alle ore 12:22.

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La corte americana ha bloccato il pagamento del debito argentino ristrutturato. Il giudice Thomas Griesa - noto a chi segue la vicenda del default argentino per le sue posizioni a favore dei diritti degli investitori - ha emesso un'ordinanza che farà discutere nei prossimi giorni e che annulla il pagamento da 539 milioni di dollari effettuato dall'Argentina a Bank of New York Mellon, che opera da fiduciario, per onorare gli impegni con i titolari di obbligazioni argentine che accettarono la ristrutturazione.

Il giudice ha definito «illegale» il tentativo dell'Argentina di pagare "solo" i creditori che sottoscrissero il concambio dopo il default del Paese avvenuto tredici anni fa. In sostanza bisogna pagare tutti i creditori, non solo quelli che hanno accettato la ristrutturazione.
Ieri, con una mossa azzardata e secondo alcuni analisti provocatoria, il governo di Buenos Aires aveva annunciato di avere depositato 539 milioni di dollari alla Bank of New York Mellon al fine di pagare i suoi principali detentori di bond nella data prevista del 30 giugno prossimo.

Così facendo il governo del presidente Cristina Fernandez de Kirchner è venuto però meno, secondo l'interpretazione del giudice Griesa, a una decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti, che il 16 giugno aveva respinto il ricorso argentino e quindi implicitamente ordinato che prima venissero pagati un gruppo di hedge fund che non aveva accettato le ristrutturazioni del debito avvenute nel 2005 e nel 2010 e quindi chiedono il rimborso di tutto il capitale.

I legali di Bank of New York Mellon, che gestisce i pagamenti dei detentori di bond, hanno spiegato che il denaro depositato nei loro forzieri resta fermo per ordine del tribunale.
Gli avvocati che rappresentano il governo argentino sostengono di continuare a cercare una soluzione negoziale della disputa con i fondi, i cosiddetti creditori «holdout». I Credit default swaps di Buenos Aires, le assicurazioni sui bond argentini, sono balzati del 20 per cento. Da lunedì, giorno del mancato pagamento degli interessi sui bond, scatterà un periodo di grazia di 30 giorni a favore dell'Argentina prima che venga dichiarato il default.
La decisione presa dal giudice Griesa mette però in gravi difficoltà il paese sudamericano, ormai quasi all'angolo. Il ministro argentino dell'Economia, Alex Kicillof, nei giorni scorsi aveva puntato il dito contro i «fondi avvoltoio» che «stanno spingendo il paese verso il default».

Perché questo grido d'allarme del ministro che aveva portato a termine un accordo con il Club di Parigi? Perché secondo alcune stime, se il paese sudamericano dovesse rispettare la sentenza della Corte suprema di New York, Buenos Aires sarebbe costretta a pagare una cifra vicina ai 120 miliardi di dollari. Un esborso che porterebbe il paese vicino a un default tecnico, salvo accordi dell'ultima ora.
La mossa del giudice Griesa rischia così di riportare di nuovo l'Argentina sull'orlo del fallimento, perché se decidesse di pagare gli hedge funds rischierebbe di violare la clausola Rufo (Rights upon future offers), che consente ai titolari di bond ristrutturati di chiedere rimborsi maggiori nel caso in cui la Casa Rosada paghi di più chi non ha accettato lo swap del 2005 e 2010.

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