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Questo articolo è stato pubblicato il 17 agosto 2014 alle ore 14:32.
L'ultima modifica è del 17 agosto 2014 alle ore 15:23.

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Perché l'economia italiana non riesce a uscire dalla recessione? È da questa domanda che bisogna partire per impostare qualunque strategia di politica economica. La risposta va cercata negli eventi del 2011, quando in seguito alla crisi dell'euro l'Italia fu colpita da un sudden stop, un arresto improvviso nell'afflusso di capitali dall'estero e una fuga di capitali privati, tipico dei paesi emergenti.

Il sudden stop ha fatto crollare la domanda interna, attraverso tre canali: i) Una feroce stretta creditizia, imposta da un sistema bancario che dipendeva dall'estero per i suoi finanziamenti, e che poi (non si sa quanto spontaneamente) ha spiazzato il credito privato per comprare il debito pubblico venduto dagli investitori esteri. ii) Una forte stretta fiscale, imposta dall'esigenza di rassicurare i mercati finanziari e i partners europei. iii) Un effetto diretto dell'incertezza e della mancanza di fiducia sugli investimenti e sui consumi di beni durevoli.

Ora il sudden stop è parzialmente rientrato e la liquidità è abbondante, ma è illusorio pensare che ciò sia sufficiente per tornare a crescere. Le tre cause di riduzione della domanda sopra indicate sono ancora operanti, e a queste se ne sono aggiunte altre.
Anche se le banche non hanno più difficoltà a finanziarsi, i loro bilanci sono pieni di partite deteriorate (a marzo erano il 10% dei prestiti complessivi, al netto delle svalutazioni), e i prestiti in sofferenza continuano a crescere, sebbene a un tasso che sta progressivamente rallentando. Di conseguenza, la morsa del credito non si è allentata in modo significativo (a giugno i prestiti al settore privato sono scesi del 2,3%). Il deleveraging delle banche è destinato a continuare, anche perché a ottobre si attende l'esito dell'Asset Quality Review della Bce.

La politica fiscale resta restrittiva. Il Def presentato ad aprile dal Ministro Padoan prevede che nel 2014 e 2015 la pressione fiscale rimanga al 44% del reddito nazionale, lo stesso livello raggiunto nel 2012 dal governo Monti. È ancora presto per valutare appieno gli effetti del bonus fiscale, ma è plausibile che essi siano trascurabili, perché solo una piccola parte delle maggiori detrazioni sarà coperta da effettivi tagli di spesa, e perché i vincoli europei impediscono aumenti di disavanzo; più che un taglio d'imposta, il bonus fiscale è stata un'operazione redistributiva.

Quanto alla fiducia, gli indicatori congiunturali suggeriscono un miglioramento. Ma la vulnerabilità dell'Italia è ancora troppo elevata, e il futuro economico troppo incerto, perché gli operatori economici possano scommettere sul futuro con tranquillità e assumere rischi rilevanti.

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