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Questo articolo è stato pubblicato il 21 settembre 2014 alle ore 13:33.
L'ultima modifica è del 21 settembre 2014 alle ore 13:48.

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L'effetto storico prorompente e globale del referendum scozzese, indipendentemente dal suo risultato, ha distrutto definitivamente le basi dello Stato moderno, che Thomas Hobbes nel Leviathan aveva posto fin dal 1651 alla base della Teoria politica. Il "contratto sociale", che serviva a controllare la "guerra di tutti contro tutti" e assicurare un nuovo ordine razionale basato sul controllo della violenza e dell'egoismo individuale, veniva affidato al nuovo sovrano artificiale: cioè lo Stato.

Inutile oggi sottolineare l'evidente deflagrazione che il prevalere dei voti del sì avrebbe provocato all'interno dell'Unione Europea. È lo stesso presidente della Commissione che aveva motivato che una Scozia indipendente non avrebbe automaticamente potuto continuare ad essere membro della Ue, alla quale peraltro, come ogni nuovo Stato, avrebbe dovuto fare nuova richiesta di adesione la stessa Inghilterra. Ulteriore probabile conseguenza della vittoria del sì sarebbe stata l'automatica esclusione dell'Inghilterra anche dal Consiglio di Sicurezza e da tutte le posizioni internazionali riguardanti sia le Nazioni Unite sia la Nato.
Il risultato del referendum rimane comunque determinante per la futura politica del Regno Unito e per la sua permanenza all'interno dell'Europa, che sarà pure sottoposta ad un referendum nel 2017.

I maggiori diritti e le concessioni promesse alla nazione scozzese con la "devolution" porteranno a concedere alle altre nazioni del Regno Unito, come il Galles e l'Irlanda del Nord, gli stessi privilegi e diritti accordati alla Scozia. È pur vero che il Regno Unito da 307 anni preserva le sue quattro nazioni, cioè appunto Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda del Nord, ma il profilo istituzionale del Regno non sarà più lo stesso, né a Londra si governerà nello stesso modo.
Il tentativo della Scozia di passare definitivamente da Nazione a Stato indipendente induce a importanti conclusioni. La prima, ampiamente sottolineata dal New York Times, è la dimostrazione di una crisi globale delle élite, crisi che ha portato ed ha trovato ulteriore spinta col movimento secessionista della Catalogna e dei Paesi Bassi e che ha trovato, sia pur nelle loro diverse identità, analoghe ribellioni in partiti di destra europei, dalla Grecia alla Svezia, alla Francia, all'Italia, al Belgio e allo stesso Tea Party degli Stati Uniti, tutti rivendicanti il fallimento delle élite politiche al potere, responsabili della totale incapacità di governare i disastri cagionati dalla globalizzazione del capitalismo finanziario, causa dell'aumento intollerabile di diseguaglianze, disoccupazione e povertà.

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