Notizie ItaliaIl coraggio di un dipendente comunale che denuncia nel regno di Riina
Il coraggio di un dipendente comunale che denuncia nel regno di Riina
di Roberto Galullo | 9 ottobre 2014
Il 23 settembre i media hanno dato notizia dell'ennesimo colpo assestato dalla magistratura palermitana a Cosa nostra corleonese.
Quel che i media non hanno raccontato è che l'indagine è nata grazie al coraggio di un dipendente del Comune di Chiusa Sclafani (Palermo) che a marzo 2012 ha varcato la soglia del comando dei Carabinieri di Corleone e ha raccontato quel che sapeva (e che non andava) di una gara di appalto indetta dall'amministrazione, relativa all'esecuzione dei lavori di messa in sicurezza e manutenzione straordinaria di una scuola elementare.
Il dipendente comunale aveva denunciato (carte alla mano) il tentativo di inquinamento volto a far risultare vincitrice della gara, in contrasto con i pubblici interessi, un'impresa nel “cuore” di Cosa nostra corleonese. Il che si sarebbe puntualmente verificato se solo il funzionario avesse accettato di soggiacere alle minacce e violenze morali esercitate da uno degli indagati, Antonino Di Marco, considerato da investigatori e inquirenti il “supervisore” della famiglia mafiosa di Palazzo Adriano.
«Diversamente da quanto spesso accade, in questo caso il pubblico funzionario, piuttosto che ricercare illeciti accomodamenti o intermediari – si legge nel decreto difermo firmato dai pm della Procura di Palermo Caterina Malagoli e Sergio Demontis – ha preferito presentarsi dai carabinieri per denunciare il fatto, fornendo nei giorni successivi aggiornate notizie sull'ulteriore corso della procedura.Il suo atteggiamento di fiducia nei confronti dello Stato ha impedito all'esponente mafioso di portare a compimento il suo programma criminoso, quello, cioè, di far aggiudicare l'appalto ad un'impresa di suo gradimento».
Non solo. Le indagini preliminari immediatamente disposte in seguito a quella denuncia hanno consentito di accertare l'esistenza e di individuare gli attuali componenti della famiglia mafiosa di Palazzo Adriano, che fa parte del mandamento di Corleone.
Molte indagini sono ancora in corso, altre sono da intraprendere e, dunque, chiosano in pm, potrebbero emergere reati ancora più gravi di quelli presi finora in esame.
Quel che appare certo, perche sono gli stessi magistrati che lo scrivono, è che quella del dipendente è un'eccezione che conferma una regola di silenzio e omertà. «Preoccupa non poco anche la condotta di taluni pubblici funzionari e amministratori del luogo – si legge infatti sempre nel decreto di fermo – i quali, pur consapevoli della illiceità delle condotte degli indagati, tendenti non solo ad eludere le leggi vigenti ma anche a calpestare i diritti fondamentali dei cittadini, si sono ben guardati dal compiere anche un solo gesto in grado di far emergere le gravissime illegittimità».
La via del riscatto, in Sicilia, è ancora lunga ma gesti come quelli del dipendente comunale onesto e incorruttibile sono quelli da portare ad esempio
r.galullo@ilsole24ore.com