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Questo articolo è stato pubblicato il 19 ottobre 2014 alle ore 13:25.
L'ultima modifica è del 19 ottobre 2014 alle ore 14:26.

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Troppo facile ricordare a proposito gli slogan: too big to fail, troppo grande per fallire, che hanno creato dovunque l'alibi per attività sconnesse con l'oggetto sociale, che purtroppo hanno anche facilitato il rischio "morale" che il loro salvataggio pubblico ha causato, producendo ricompense ad attori di dubbia capacità e incoraggiando future irresponsabilità.

La combinazione del recente capitalismo fra la globalizzazione e i processi tecnologici idealizzati a rappresentare la indiscussa e idolatrata scientificità dei mercati, scandita a ritmi (dettati dall'HFT, High Frequency Trading) che nessuna attività umana può adottare, ha trasformato profondamente un fragilissimo sistema finanziario comandato dagli algoritmi. È così che le banche e le altre istituzioni analoghe, sulla presunzione che il «desiderio morboso di liquidità», già denunciato da J.M. Keynes, si potesse trasformare in ricchezza attraverso l'accumulazione a sempre più breve termine di debiti, tramite sofisticatissimi quanto opachi strumenti derivati, hanno definitivamente perduta la loro missione. L'assoluta dematerializzazione della moneta ha tolto poi qualsivoglia traccia od orma di razionalità nell'accumulazione.

Insomma, l'Umanesimo rinascimentale dei banchieri fiorentini s'è via via dissipato nel mare degli algoritmi. D'altra parte, come lo stesso Geithner ha precisato, a scoppio in corso della crisi, nel 2008, più della metà delle operazioni della finanza mondiale era svolta dalle banche ombra (Shadow banks), le quali invece di affidarsi ai tradizionali depositi raccolgono la liquidità attraverso il ricorso alle più svariate forme di indebitamento a breve termine, senza protezione né controlli.

Di conseguenza viene costantemente minacciato il capitale, vero cuscino di sicurezza contro le perdite potenziali, strumento affidabile anche perché costituito dai conferimenti degli azionisti, che contrariamente ai depositi e agli indebitamenti, non debbono essere restituiti. Più alto è il rapporto fra il capitale e gli attivi, più sicuro è l'assorbimento delle possibili perdite sui prestiti e sugli investimenti. Questa è la ragione fondamentale per cui l'esigenza di una capitalizzazione adeguata delle banche è ovunque sottolineata, ancorché inadeguatamente affrontata dai legislatori e dalle vigilanze internazionali e nazionali.

È opportuno inoltre notare che all'interno dei singoli Paesi, soprattutto quelli più colpiti dalle assurde politiche di austerity, il rischio insito nei finanziamenti bancari a un'economia in deflazione non è mai sufficientemente valutato dalle classi politiche. La soluzione del loro problema principale, il debito pubblico, non può passare dalle banche, né la loro governance internazionale può soddisfare le politiche nazionali, indifferenti al loro operare.

Non è un caso allora, pur senza alcun riferimento agli stress test in arrivo, che la tesi di coprire il rischio relativo agli attivi bancari sia stato promosso soprattutto dalla Bank for International Settlements (BIS) e soprattutto dall'organizzazione delle Banche Centrali di Basilea.

Purtroppo alla base dei requisiti di capitalizzazione non v'è, e non v'è mai stata, una corretta valutazione dei rischi, che sono soprattutto, in un'economia globale in crisi, soggetti a variabili continue. Mi basterà ricordare che i titoli di Stato di Grecia e Spagna, prima della crisi, secondo le regole di Basilea erano sicuri come la liquidità in cassa, tanto da non richiedere alcuna copertura di capitale. Aggiungerei anche che Lehman Brothers, immediatamente prima del fallimento era, secondo il "sistema Basilea", considerata correttamente capitalizzata.

In difetto della assoluta validità dei rapporti fatti valere con tali strumenti, la sola riforma urgente, a evitare un continuo aggravarsi della crisi dei sistemi bancari, consiste nel porre seri limiti alle varie forme di indebitamento bancario garantendo un'appropriata valutazione dei rischi e degli investimenti. A ciò si deve naturalmente accompagnare una riforma dei mercati finanziari che disciplini i fenomeni delle Shadow Banks e dei titoli derivati, che hanno avuto, e continuano ad avere, grande peso nella crisi economica.

Risulta insomma essenziale alla ripresa che le banche continuino a fare correttamente il loro mestiere, ricordando che l'economia esige che esse siano affidabili e solide e non sempre più ingrandite e opache conglomerate che rincorrono, confondendo il debito con la ricchezza, ogni mezzo per ottenere risultati a breve termine, nel perseguimento di limitati e parziali interessi che spesso poco hanno a che fare con il loro istituzionale interesse sociale, che è l'unico che uno Stato di diritto dovrebbe tutelare.
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