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Questo articolo è stato pubblicato il 23 ottobre 2014 alle ore 08:18.
L'ultima modifica è del 23 ottobre 2014 alle ore 08:19.

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L'operazione Stress test volge finalmente al termine. Nella mattinata di oggi - dopo 10 mesi di lavoro dietro le quinte, di analisi contabili e di simulazioni di scenario che hanno tenuto in tensione non solo i banchieri ma soprattutto gli investitori di Borsa - la Bce e l'Eba comunicheranno formalmente alle 130 banche europee sottoposte all'analisi qualitativa degli asset se hanno passato o meno l'esame patrimoniale dei regulator.

Il test, almeno nei propositi delle authority bancarie europee, ha infatti l'obiettivo di individuare le banche che non sarebbero in grado di superare sulla base dei loro bilanci 2013 una nuova recessione continentale o crisi finanziaria sistemica: la ricapitalizzazione obbligatoria scatta, in particolare, solo per quelle banche che dalla chiusura dello scorso esercizio a oggi non hanno già effettuato per proprio conto operazioni straordinarie (come aumenti di capitale o vendita di asset) sufficienti a coprire il gap tra valori patrimoniali e perdite potenziali che potrebbero emergere con una crisi o shock finanziario imprevisto.
Nelle intenzioni, insomma, si tratta di un'importante operazione che punta non soltanto a rafforzare la stabilità finanziaria europea alla vigilia dell'Unione bancaria, ma anche la fiducia dei risparmiatori e del mercato nei confronti di un settore strategico per l'economia e soprattutto per la ripresa, ma ancora guardato con sospetto per la sua «propensione naturale al rischio e agli eccessi». Ma che cosa uscirà, dunque, da questa nuova tornata - la terza dopo quelle del 2010 e 2011 - di stress test sulle banche? L'opinione pubblica verrà messa a conoscenza dell'esito dei test solo domenica all'ora di pranzo, ma è ormai da settimane che circolano - dalla Germania alla Spagna, dalla Francia all'Italia - «indiscrezioni» e «confidenze» di presunte «fonti ben informate» su chi pagherà il conto più salato dell'esame Bce: a ieri, i rumors provenienti da Londra (dove ha sede l'Eba) e da Franconcoforte (dove ha sede la Bce) indicavano in circa 50 miliardi di euro il deficit patrimoniale complessivo delle 130 banche sottoposte alla verifica, in 6 i Paesi più colpiti e in 11 gli istituti di credito con i conti peggiori da mettere in sicurezza.

Ma attenzione. Poichè siamo in Europa, ogni Paese ha le sue indiscrezioni nazionali e diversi «margini di flessibilità» per raccontarle: in Germania le «fonti autorevoli» dello Spiegel anticipano che Italia e Cipro saranno i Paesi più colpiti dalle ricapitalizzazione forzate; in Spagna l'agenzia Efe dice che nella lista nera ci sono 4 banche greche, 3 italiane, due austriache più una belga e un'altra cipriota. Da Canary Wharf, Londra, la Reuters sostiene infine che i problemi potrebbero essere ben peggiori di quanto ipotizzato nell'Europa continentale. In cifre, come detto, sul piatto delle scommesse c'è oggi una posta di 50 miliardi di euro, che vanno ad aggiungersi ai 70 miliardi di euro in aumenti di capitale già chiesti al mercato negli ultimi 10 mesi: «È un'atmosfera da corsa ippica», commentava ieri un operatore di Borsa, «ideale per la proliferazione di manovre speculative e per far impennare la volatilità dei titoli, dei mercati e degli indici: e la volatilità è nostro il clima preferito». Bisognerebbe chiedere a Siena che cosa ne pensano gli azionisti del Monte: le indiscrezioni dei «ben informati» hanno fatto cadere negli ultimi giorni le azioni della banca al loro nuovo minimo storico. In questo senso, il tentativo (lodevole) dei regulator di Borsa europei di minimizzare l'impatto delle indiscrezioni sui mercati borsistici nazionali attraverso comunicazioni formali degli emittenti è valso a ben poco: le banche travolte dai rumors non hanno potuto né smentire né confermare le chiacchiere di mercato perché fino a oggi non sono state a conoscenza dell'esito finale dei test, mentre l'Eba e la Bce hanno esercitato fino in fondo il privielgio di legge di essere esentate dagli obblighi di comunicazione al mercato sui propri atti.

Ed evidentemente, visto che qualcuno deve aver comunque parlato, a nulla è valsa la minaccia della Bce di comminare sanzioni da 100mila euro ai banchieri che si confidavano con la stampa: l'ordine del silenzio ha riguardato, ovviamente sulla carta, l'intero processo di asset quality review. Ma tant'è, quando un processo si estende per quasi 12 mesi, coinvolgendo 130 banche commerciali e di investimento, una società di consulenza internazionale (la Oliver Wyman), centinaia di tecnici delle authority nazionali ed europee e un numero inquantificabile di dirigenti e personale vario degli istituti coinvolti nei riscontri e nelle simulazioni, riservatezza e responsabilità sono difficili da chiedere, figuriamoci da garantire. Se mai a Francoforte si discuterà di come migliorare il percorso dei futuri stress test per diminuirne l'impatto sulle Borse in corso d'opera, sarà bene che questo tema venga messo subito all'ordine del giorno: tempi più rapidi tra esame dei conti e comunicazione dei risultati alle banche e al mercato potrebbero ridurre la volatilità e soprattutto la speculazione.

Quello degli stress test, insomma, è un argomento particolarmente sensibile vista la catena che lega indissolubilmente il sistema produttivo ed economico del continente al circuito del credito bancario. In questo senso, dovrebbe essere interesse stesso delle authority fare tesoro delle esperienze per migliorare le procedure e garantire al mercato e agli emittenti un esame equilibrato, uniforme e raffrontabile dei bilanci delle banche e dei rischi che generano sul sistema. Nessuno mette in discussione l'importanza degli stress test, ma forti dubbi e polemiche ancora permangono sulla reale affidabilità di graduatorie e pagelle redatte sulla base di regole nazionali che sono ancora troppo diverse di Paese in Paese in un settore che sta invece per passare sotto la Vigilanza Unica europea. E anche se i banchieri italiani sono tra quelli che più lamentano di essere sottoposti a regole nazionali più restrittive e penalizzanti dei loro concorrenti nell'attività di concessione del credito (la frase più gettonata è «Siamo sicuri che un mutuo a Mentone è calcolato come un mutuo a Ventimiglia?»), l'esistenza del problema - e la necessità di risolverlo - è stata ammessa ora dallo stesso presidente dell'Eba Andrea Enria: «La missione è ancora lontana dall'essere compiuta - ha detto Enria in una recentissima audizione al Parlamento Ue - Abbiamo notato, sia attraverso le domande e risposte ricevute nei documenti di consultazione, ma anche nella conduzione degli stress test, che esistono aree in cui le regole comuni sono applicate diversamente». Ecco allora che l'appello dell'Abi e dei banchieri italiani a rivedere l'intero sistema di valutazione in un'ottica di «levelled field» prima del prossimo stress test assume un'importanza strategica non solo per le nostre banche, ma anche per il Governo, visto il ruolo che viene attribuito al credito sia nel supporto alle imprese che in quello alle famiglie.

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