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Questo articolo è stato pubblicato il 23 ottobre 2014 alle ore 08:18.
L'ultima modifica è del 23 ottobre 2014 alle ore 08:19.

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In un Paese che insegue da sempre il miraggio di fare sistema, il terreno bancario dovrebbe essere il primo in cui realizzare questa intesa: in Italia, al contrario di quanto avvenuto in gran parte d'Europa, prima e dopo la crisi le banche non hanno avuto un solo euro di aiuto pubblico (eccetto il prestito salato a Mps con i Monti bond), ma non si sono certamente tirate indietro quando si è trattato di dare sostegno alle famiglie con la moratoria sui mutui, e alle imprese con la moratoria sui prestiti. Come non hanno fatto mancare il proprio supporto nell'operazione pagamento dei debiti della Pubblica amministrazione. E come ora si accingono a fare in un'altra operazione tesa a lenire gli effetti della recessione sui redditi delle famiglie: l'anticipo del Tfr dovuto dalle imprese ai lavoratori. È anche su queste e molte altre operazioni davvero «di sistema» che dovrebbe essere giudicato il ruolo, l'importanza e la tenuta di un sistema bancario. Altrimenti restano solo gli stress (non solo da test), le polemiche e la cultura del sospetto. È bene ricordare che dal primo stress test del 2010 le banche irlandesi figuravano tra le migliori: invece, fallirono a catena pochi mesi dopo l'esame. Lo stesso è accaduto con la Spagna appena un anno dopo. Per non parlare della Germania: la vera salute delle Landesbanken resta un segreto avvolto nel mistero. Senza contare i misteri che aleggiano su quella Commerzbank il cui salvataggio di Stato nasconde più di un particolare interessante. Ma nè Berlino, nè Madrid - dove banche e Stato fanno davvero sistema - risultano nell'elenco delle sospettate: l'Italia sempre.

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