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Questo articolo è stato pubblicato il 01 novembre 2014 alle ore 09:47.
L'ultima modifica è del 01 novembre 2014 alle ore 10:19.

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L' Ilva assomiglia a un organismo sempre più fragile, piegato su se stesso, quasi fratturato nel suo sistema finanziario e industriale. L'indicatore più significativo di questa drammatica consunzione è il patrimonio netto consolidato. Due miliardi e cinquecentosettantasette milioni di euro. A tanto ammonta il suo depauperamento.

Il 30 giugno 2012, un mese prima che l'inchiesta "Ambiente Svenduto" della Procura di Taranto culminasse negli ordini di arresto di otto persone (fra cui Emilio e Fabio Riva) e nel sequestro (senza facoltà d'uso) dell'area a caldo, il patrimonio netto consolidato era pari a 3,673 miliardi di euro. Il 30 settembre di quest'anno - dopo ripetuti shock finanziari e industriali, lunghi periodi di acefalia strategica e due gestioni commissariali - il patrimonio netto è diventato di 1,096 miliardi di euro. Il 70% in meno.
Si tratta di un indebolimento rilevante, imputabile alle cause più diverse: dagli effetti di cambio alle variazioni delle aree di consolidamento (una ipotesi non trascurabile, dato che parti intere dell'impianto con annesse materie prime sono state a lungo ferme), dalle variazioni delle riserve di cash flow alle perdite, che - nel 2012 e nel 2013, stando ai report che si trovano sulle scrivanie dei banchieri - sono state rispettivamente pari a 1,279 miliardi e 1,042 miliardi di euro. Senza contare quest'anno, dunque, l'impresa ha perso fra 2012 e 2013 2,321 miliardi di euro. Nel 2011 aveva guadagnato poco, ma aveva guadagnato: 88 milioni di euro.

L'Ilva - qualunque sia il suo futuro prossimo venturo - appare dunque un corpo societario debole. Debolissimo. Dopo che la magistratura milanese ha autorizzato l'attuale struttura commissariale ad accedere agli 1,2 miliardi di euro dei Riva sottoposti a sequestro per presunti reali valutari e monetari distinti dalla questione dell'Ilva (a questo proposito, c'è già stato un primo incontro fra lo studio Severino, che opera per conto del commissario Piero Gnudi, e i magistrati di Milano), Arcelor Mittal - con il partner di minoranza Marcegaglia - sta predisponendo una lettera di intenti non vincolante che, a differenza di quella recapitata un mese fa, conterrà la cifra che il gruppo è disponibile a spendere per acquistare la società commissariata. Intanto, alcuni banchieri d'affari stanno lavorando sulla fisionomia di una newco, a cui Arvedi conferirebbe una parte rilevante dei suoi asset, mentre i soldi veri verrebbero messi da Cassa Depositi e Prestiti e da Csn, che peraltro è già partner industriale di Arvedi in un tubificio in Brasile (ndr: si veda l'articolo a pagina 10). Gnudi auspica di ricevere, entro fine mese, le offerte dalle due cordate. I banchieri, che hanno incontrato Gnudi martedì, pensano che una manifestazione di interesse concreta possa addirittura arrivare intorno al 15 novembre: in particolare quella di Arcelor Mittal, che ha iniziato a lavorare sul dossier il 2 giugno scorso.

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