Notizie AmericheDimenticare il vecchio mondo della Baia dei Porci
Dimenticare il vecchio mondo della Baia dei Porci
di Mario Platero | 18 dicembre 2014
Improvvisamente il passato sembra molto più lontano: avventure come la Baia dei Porci, l'ipotesi di una vendetta cubana per uccidere John Kennedy, gli eccessi del regime Batista, i canti di un Fidel, ormai ridotto a una larva umana, sono stati finalmente relegati ieri da Barack Obama in un capitolo chiuso della storia.
È bastato che il Presidente americano dicesse «normalizziamo» o «apriremo un'ambasciata all'Avana» dopo la chiusura del 1961 (!) per rendersi conto di quanto quei vessili ancora in mano di qualche gruppuscolo fossero anacronistici. Da ieri quegli episodi, («avvenuti prima che io nascessi», ha osservato Obama), non potranno più restare nella testa di di alcuni militanti o di alcuni politici come elementi di un conto che resta da saldare. Per questo gli attacchi di ieri contro la normalizzazione, gli slogan anti rivoluzionari, le proteste di Marco Rubio, cubano nato nel 1971 a Miami, Senatore repubblicano della Florida o quelle del Presidente della Camera John Boehner (decisione «sventata e sciocca») suonano già vuote e stantie. Anche perché basta passeggiare a Miami per le strade di Little Habana, prendere un drink al Caffè Versailles, passare dal Domino Club, per capire che la normalizzazione cubano americana è già avvenuta. Basta parlare con “Muscolito”, Eugenio Roando Martinez, 92 anni, animatore della Baia dei Porci, protagonista dello scandalo Watergate, per capire che i cubani nostalgici non esistono più.
Le storie dei cubano-americani di successo sono quelle di Roberto Gouizeta, rifugiato cubano, arrivato ai vertici della Coca Cola già nel lontano 1997. O di Bob Menendez, senatore democratico del New Jersey. Quando lo incontrai tempo fa Menendez mi disse che sapeva benissimo che, se mai dovesse arrivare davvero, la democrazia a Cuba non gli restituirà l'azienda agricola di suo padre. O la casa all'Avana «dove oggi vivono 20 persone». Ma ha i documenti per le cave di pietra, gestite da un'azienda francese, e quelli dell'impianto per l'imbottigliamento, gestito da un'azienda spagnola. Con suo fratello, grande finanziere a Minneapolis, sognano di investire a Cuba. Ma non di tornarci: «C'erano sei milioni di cubani quando sono scappato. Oggi sono dodici. Dieci sono nati dopo la rivoluzione. Parliamo un linguaggio diverso. Mia moglie è di origine greca. I miei figli sono greco-americani-cubani, ma soprattutto americani. La mia casa è qui». I cubano americani hanno anche il volto di George Hernandez, che incontrai in un cantiere della K&M Construction a Miami Beach, 36 anni, capelli scuri, inglese perfetto: dice di essere più americano che cubano.
C'è da dire che questa svolta non significa un passaggio alla democrazia, ma il turismo americano tornerà all'Avana, porterà una ventata di apertura e di chiusura di un'epoca. Obama ha promesso tecnologia per installare Internet. Insomma è solo questione di tempo. Sbagliano dunque i Rubio o i Boehner, perché il tema era già fuori da un dibattito politico reale. Barack Obama ha deciso di guardare «oltre l'ostacolo», di guardare in avanti invece che indietro. E di dare allo stesso tempo un contenuto politico di taglio globale a questa svolta cubana. Ieri il Presidente americano ha infatti abbattuto gli ultimi baluardi della Guerra Fredda. Si è garantito un altro posto nei libri di storia. E ha isolato ancora di più chi questa Guerra Fredda si ostina a combatterla ancora, dal Cremlino di Vladimir Putin alla Corea del Nord (che ha indirettamente minacciato di attaccare i cinema americani se oseranno proiettare The Interview”, una parodia del suo regime). Infine, il ruolo di Papa Francesco mediatore e garante, con cui Obama tesseva da un anno il progetto. Il ruolo del Vaticano, il ritorno a casa di Alan Gross (per Hannukka! come ha detto) detenuto a Cuba per cinque anni, la liberazione di due spie cubane detenute in America fanno da contorno simbolico a una quadro molto più ampio. Ma restano ingredienti chiave per questa stagione di festività che fra mille pessime notizie ci aiutano a dare il benvenuto al 2015 sotto il segno del