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Questo articolo è stato pubblicato il 31 dicembre 2014 alle ore 09:38.
L'ultima modifica è del 31 dicembre 2014 alle ore 09:59.

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Il 2014 termina e governi, parlamenti e banche centrali affrontano tre scelte: lottare per la crescita o rassegnarsi alla stagnazione, migliorare la stabilità o rischiare di soccombere alla fragilità, agire insieme o da soli.

La posta in gioco non potrebbe essere più alta, il 2015 si prospetta un anno decisivo per la comunità mondiale.

Tanto per cominciare servono crescita e occupazione per sostenere la prosperità e la coesione sociale dopo la Grande Recessione che è cominciata nel 2008. A sei anni dallo scoppio della crisi finanziaria, la ripresa resta debole e discontinua.

Le stime di crescita globale sono state riviste al ribasso con solo un + 3,3% per il 2014 e un +3,8% per il 2015. Alcune economie importanti stanno ancora combattendo la deflazione. Ci sono più di 200 milioni di disoccupati. L’economia globale rischia di impantanarsi in una nuova mediocrità, un periodo prolungato di crescita lenta e scarsa creazione di occupazione.

Per liberarci dalla stagnazione abbiamo bisogno di un nuovo slancio politico. Se verranno attuate le misure concordate dai capi di Stato che si sono riuniti a novembre per il G20, il Pil mondiale crescerà più del 2% entro il 2018, ovvero 2.000 miliardi di dollari in più in termini di reddito globale. Inoltre, se nel 2015 sarà raggiunto il lodevole benché non troppo ambizioso obiettivo di colmare il divario di genere del 25%, 100 milioni di donne potrebbero finalmente avere un lavoro. I leader mondiali hanno chiesto all’Fmi di monitorare l’attuazione di queste strategie di crescita e noi lo faremo, paese per paese, regione dopo regione.

Per dare nuovo slancio, oltre alle riforme strutturali, andranno mosse tutte le possibili leve per sostenere la domanda globale. Le politiche monetarie accomodanti continueranno a essere necessarie finché la crescita sarà anemica, anche se dobbiamo prestare la massima attenzione al rischio di potenziali spillover.
La politica fiscale dovrebbe puntare a promuovere la crescita e a creare posti di lavoro, mantenendo al tempo stesso una credibilità a medio termine. E le politiche del mercato dell’occupazione dovrebbero continuare a puntare sulla formazione, su servizi per l’infanzia abbordabili e sulla flessibilità del posto di lavoro.

Quanto alla seconda scelta, quella fra stabilità e fragilità, dobbiamo pensare al modo per rendere più sicuro questo mondo sempre più interconnesso. L’integrazione finanziaria è decuplicata dalla Seconda guerra mondiale, le economie nazionali sono così interdipendenti che gli umori rispetto al mercato tendono ad avere ricadute globali. È fondamentale portare a termine il programma di riforme finanziarie in agenda.

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