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Questo articolo è stato pubblicato il 31 dicembre 2014 alle ore 09:38.
L'ultima modifica è del 31 dicembre 2014 alle ore 09:59.

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Di progressi ce ne sono stati a dire il vero, specialmente nella regolamentazione del settore bancario e nella gestione delle istituzioni finanziarie “troppo grandi per fallire”, ma adesso tocca ai Paesi mettere in pratica quelle riforme e migliorare la qualità della supervisione. E poi servono normative migliori per gli operatori non bancari, un controllo più stretto del sistema bancario ombra e una maggiore tutela e trasparenza nei mercati dei derivati. E serve uno sforzo maggiore per colmare la mancanza di dati sul settore finanziario, in modo che i regolatori possano valutare adeguatamente i rischi che minacciano la stabilità finanziaria.

E poi, soprattutto, ci deve essere un cambiamento nella cultura del settore finanziario. La principale funzione della finanza è offrire servizi alle altre parti dell’economia, il che è impossibile se viene a mancare la fiducia di chi dai quei servizi dipende, ovvero tutti noi. Per cominciare a reinstaurare la fiducia, serve uno sforzo collettivo per promuovere e far valere un comportamento etico a livello industriale.

La terza scelta, agire insieme o da soli, è quella più difficile. Nessuna economia è un’isola, anzi, oggi l’economia globale è più integrata che mai. Pensate solo che cinquant’anni fa i mercati emergenti e le economie in via di sviluppo erano circa un quarto del Pil mondiale, oggi producono il 50% del reddito globale e la percentuale continuerà a salire.

Ma gli Stati sovrani non sono più gli unici attori, è emersa una rete globale di nuovi protagonisti fra cui organizzazioni non governative e singoli attivisti spesso sostenuti dai social media. Questa nuova realtà ha bisogno di nuove risposte, dovremo aggiornare, adattare e approfondire i modi per lavorare insieme. E questo si può fare investendo sulle valide istituzioni già esistenti che si occupano di cooperazione. Istituzioni come l’Fmi dovrebbero diventare ancora più rappresentative con i cambiamenti dinamici in atto nell’economia globale. Le nuove reti di influenza andrebbero sfruttate e bisognerebbe dare loro spazio nell’architettura della governance globale del Ventunesimo secolo. È quello che ho definito il nuovo multilateralismo, credo che sia l’unico modo di fare fronte alle sfide che la comunità globale deve affrontare.

L’anno 2014 è stato un anno duro, la ripresa è stata lenta, sono emersi diversi rischi geopolitici e il mondo è stato scosso da un’epidemia devastante di nome Ebola. L’anno che verrà potrebbe essere un altro anno difficile come potrebbe essere un anno buono, un anno veramente multilaterale.

Un nuovo slancio nel commercio globale potrebbe contribuire a sbloccare l’investimento globale e io confido nei nuovi Obiettivi di sviluppo sostenibile (che nel 2015 prenderanno il posto degli Obiettivi di sviluppo del millennio) e nella prospettiva di un accordo globale sul cambiamento climatico alla fine del prossimo anno.

In questo scenario, l’adozione delle riforme dell’Fmi da parte del Congresso americano sarà il segnale tanto atteso per le economie emergenti in rapida crescita che il mondo conta sulla loro voce e sulle loro risorse per trovare soluzioni globali ai problemi globali.

Crescita, commercio, sviluppo e cambiamento climatico, il 2015 sarà un appuntamento importante per le iniziative multilaterali. Non possiamo permetterci di vederle fallire, dobbiamo prendere le decisioni giuste.

(Traduzione di Francesca Novajra)

Christine Lagarde è direttore generale del Fondo monetario internazionale

© PROJECT SYNDICATE, 2014

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