Come funzionano, o meglio potrebbero funzionare, i “Varoufakis bond”, vale a dire la soluzione proposta dal ministro delle Finanze greco per ristrutturare il debito di Atene, circa 315 miliardi di euro in mano per due terzi a governi europei e istituzioni?
Abbandonata l'idea iniziale di un secondo taglio secco (haircut) della montagna di debiti pari a 315 miliardi di euro, il ministro delle Finanze greco, Yanis Varoufakis, ha proposto in un'intervista rilasciata al Financial Times a Londra di scambiarlo (swap) con due tipi di nuovi bond: il primo indicizzato alla effettiva crescita economica greca, da scambiare con i crediti erogati dai paesi e dalle istituzioni europee. In questo caso il pagamento delle cedole o del capitale viene subordinato alla crescita del Pil o al calo della disoccupazione. Il bond si trasforma così in una sorta di azione che paga dividendi solo se il Paese debitore va bene. Il creditore viene coinvolto nel destino del debitore e ne partecipa al rischio. Certo si tratta di obbligazioni da paese in via di sviluppo non certo da paese dell'eurozona, ma sono tempi particolari.
L'altro tipo di scambio sarebbe, invece, costituito da bond «perpetui» che servirebbero a sostituire quelli detenuti dalla Bce, con il passato piano anticrisi Smp. Si tratta di bond che pagano una cedola all'anno e non vengono mai rimborsati avendo scadenza all'infinito. È un grosso aiuto al debitore. Ce ne sono ad esempio in Portogallo e seguono fasi di ristrutturazione del debito o eventi bellici. L'ipotesi che possa essere accettata dalla Bce è molto vicina allo zero, in quanto assomiglia molto alla “monetary financing”, cioè al finanziamento del debito da parte della Banca centrale, azione vietata dai Trattati europei. Il governo Greco ha successivamente confermato questa ipotesi assieme ad altre possibili soluzioni per ridurre il debito.
Secondo alcuni analisti l'offerta segnala di fatto un ammorbidimento della linea della Grecia, che finora sembrava voler pretendere un taglio secco del debito dal 70 al 50% del totale.
L'idea di agganciare il pagamento degli interessi o del capitale a un indicatore economico non è nuova, viene da Zsolt Darvas, un economista ungherese che lavora al Think tank Bruegel di Bruxelles.
«Nel 2012 – racconta Zsolt Darvas - scrissi che l'Fmi e i funzionari europei si stavano pubblicamente scontrando sulla data entro cui il debito pubblico della Grecia avrebbe dovuto essere ridotto al 120% del Pil. L'Fmi insisteva sulla data del 2020, mentre gli europei proponevano il 2022. Entrambi erano in errore: un obiettivo del 120%, se si raggiunge in otto o dieci anni, non avrebbe certo ripristinato la fiducia e non avrebbe fatto tornare ad investire in titoli greci gli investitori privati. Una strategia credibile avrebbe dovuto comportare zero interessi ufficiali sui prestiti e indicizzare il rimborso dei prestiti al Pil».
«L'asse principale della strategia – ricorda Darvas – doveva essere la riduzione del tasso di rifinanziamento ufficiale portato a zero fino al 2020-30. Il coinvolgimento del settore pubblico avrebbe condotto a una svalutazione del debito, ma sarebbe stata politicamente più accettabile. La seconda linea di azione avrebbe dovuto essere l'indicizzazione del valore di tutti i prestiti ufficiali all'andamento del Pil greco». Un situazione dove se la crescita è migliore del previsto, i creditori ne avranno un beneficio.
Invece si è scelta un'altra strada che ha portato alla situazione attuale. E oggi che possiamo fare? Non resta che la Grexit? «Anche in questo caso un'uscita della Grecia dall'euro non è un soluzione perché Atene entrerebbe in un'altra depressione con aumento della disoccupazione e riduzione delle entrate fiscali – dice Darvas -. Inoltre, con l'uscita dall'euro la Grecia potrebbe anche rischiare l'arresto dei flussi relativi del bilancio Ue per la Grecia (fondi di coesione e strutturali, i sussidi all'agricoltura): nel 2013 la Grecia ha ricevuto un pagamento netto del 2,9% del Pil, a carico del bilancio comunitario. Questo è stato un trasferimento (non un prestito) e il paese non riceverebbe trasferimenti simili in futuro».
E allora? Non resta che una ristrutturazione del debito? «No, la ristrutturazione è molto improbabile e non è necessaria. Ogni livello del debito è sostenibile se ci sono tassi di interesse molto bassi. Il Giappone è un esempio lampante: il debito pubblico è quasi il 250% del Pil, mentre il tasso di interesse medio è dello 0,9% l'anno. Nonostante l'elevato debito pubblico giapponese, non si parla della sua ristrutturazione».
Cosa resta, quindi? «Sebbene i prestiti alla Grecia della zona euro abbiano scadenze già estremamente lunghe – ricorda l'economista di Bruegel - , un'ulteriore estensione è possibile, da 30 a 40 anni c'è poca differenza . Di conseguenza, credo che i leader europei debbano prendere seriamente il progetto del ministro Varoufakis, e il governo greco dovrebbe mettere da parte le proprie riserve per un nuovo programma di ESM».
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