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Dossier Chi è George Fabio Biagi, un bocconiano per l'Italia del rugby

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Dossier | N. 68 articoliRugby / Speciale 6 Nazioni

Chi è George Fabio Biagi, un bocconiano per l'Italia del rugby

Se, parafrasando Flaiano, la strada più breve per arrivare alla maglia della Nazionale non è una linea retta, ma un arabesco, nel quale mescolare impegnativi periodi di studio in Italia e all'estero, allora il testimonial di questo metodo abbastanza insolito è George Fabio Biagi, a lungo rugbysta soprattutto per diletto e adesso rivelazione azzurra. Uno dei protagonisti della vittoria in Scozia, uno che - per questa avventura chiamata Sei Nazioni - ha dovuto temporaneamente rinunciare a sostenere l'ultimo esame che lo separa da una laurea alla Bocconi.

Si snoda proprio fra Italia e Scozia la storia particolare di Giorgione, seconda linea di due metri entrato nei ranghi di Brunel anche per gli infortuni di due giganti di esperienza come Bortolami e Geldenhuys.
Nato nel 1985 a Irvine, in Scozia, da genitori italiani, Biagi è tornato ben presto in Italia. A Barga, in provincia di Lucca, ha frequentato elementari e medie, praticando calcio, basket, nuoto e judo. Ma l'incontro con il rugby è arrivato a Edimburgo, al Fettes College, dove il nostro ha trascorso gli anni dell'adolescenza e dove, in occasione del recente match, è stato ricevuto con tutti gli onori che, da quelle parti, vengono tributati a un ex allievo in grado di raggiungere i vertici nello sport. “Un'accoglienza che mi ha fatto molto piacere - dice, con cadenza toscana inconfondibile – anche perché il mio college resta un punto fermo importante della mia vita”. Oltretutto quella scuola, che si erge su una collinetta, può vantarsi di avere aiutato J. K. Rowling - mamma (scozzese) di Harry Potter - a scatenare la sua immaginazione. “Il primo libro della saga – spiega il suo semi-connazionale – l'ha scritto in un caffè di Starbucks e lì, da una finestra, vedeva proprio la mia scuola, e ne ha tratto ispirazione”

Il secondo ritorno in Italia di George avviene per affrontare gli studi universitari alla Bocconi, dove si iscrive al corso per conseguire il “degree in International economics and Management”. Il rugby non viene abbandonato ma, in quel momento, non è certo prioritario. “Ho giocato due anni nell'Under 20 del Grande Milano, soprattutto per evitare la sedentarietà. Poi ho fatto due anni con l'Amatori Milano e da lì ai Cavalieri Prato per altre due stagioni, quella della promozione del Super10 e la successiva. Le cose si fanno decisamente serie: lo step successivo è nella neonata ”franchigia” degli Aironi, per due anni, poi il passaggio al Bristol (per una stagione nel Championship, seconda divisione inglese) e l'arrivo, a settembre 2013 nelle file delle Zebre, con base a Parma. L'esordio in Nazionale arriva a 28 anni suonati.
Una carriera anormale? “Diciamo che ognuno fa il suo percorso e io mi ritengo fortunato di non essere stato considerato troppo anziano per esordire. Soprattutto in Italia, è difficile far coincidere lo studio e lo sport ad alto livello. E' difficile mettere assieme tutti i pezzi e non ci sono aiuti dall'esterno. Mentre nel Regno Unito, per esempio, c'è un'associazione dei giocatori che spinge gli atleti a partecipare a stage o corsi universitari. Una cosa utilissima, perché bisogna pensare fin da ora al futuro. Poiché, purtroppo o per fortuna, non faccio il calciatore, so che a fine carriera dovrò impegnarmi in qualcosa di diverso. Nel frattempo, con il mio compagno di squadra Gonzalo Garcia ho aperto una società che ha l'esclusiva per la distribuzione in Italia dei prodotti della Recovery Store, strumenti per il trattamento degli infortuni e il recupero post-allenamento degli atleti”.
Adesso, però, è il momento di pensare al rugby… “Certamente, in questo momento lo sport è al primo posto. A livello internazionale la mia è una carriera “giovane”. In tutto ho giocato sei partite con l'Italia e la prima l'ho vinta proprio contro la Scozia. Non era un match uguale agli altri per me, tante persone sono venute a vedermi, Edimburgo mi è rimasta nel cuore perché ha contato tanto nella mia formazione come uomo e come sportivo. In questo periodo, sostituendo Geldenhuys, ho svolto compiti un po' diversi dai soliti, ma va benissimo così”. George si è trovato anche a “chiamare” le giocate in rimessa laterale ed è, ovviamente, uno dei saltatori della squadra, ma il suo apporto consiste soprattutto in un lavoro oscuro, di fatica, da cavallo da tiro, senza per questo ignorare le possibilità di essere presente nel gioco aperto.

In teoria questa Italia, che attende Francia e Galles all'Olimpico, potrebbe ancora essere in tempo per confezionare il suo migliore Sei Nazioni di sempre. “La cosa fondamentale è continuare a concentrarci su noi stessi, perché sotto un certo punto di vista possiamo essere il nostro peggiore nemico. Voglio dire che le potenzialità per fare bene le abbiamo, ma non sempre le tiriamo fuori. Andiamo avanti pensando a una partita per volta”. E la Coppa del Mondo, il prossimo autunno? “Ah no, di quella non voglio neppure parlare”.

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