Eccoci. Domani torniamo all'Olimpico. C'è Il Galles, che punta a vincere il torneo. E ci siamo noi, che dobbiamo giocare un incontro ben diverso da quello con la Francia. Dove abbiamo cominciato bene ma siamo durati troppo poco. Se avessimo mosso il punteggio nei primi minuti sarebbe stato tutto diverso, per noi e per loro. Invece è la Francia che in poco tempo ha trovato tre calci e da lì in poi è stata abile a prendere in mano la partita, mentre noi siamo calati a livello mentale.
Ma ora arriva un'altra possibilità, l'ultima partita del Sei Nazioni. Dobbiamo giocarcela, cercare di divertirci. Soprattutto, la cosa più importante sarà arrivare in fondo senza avere rimpianti. Sappiamo quanto è forte e motivato il Galles, ma abbiamo già dimostrato che - se riusciamo a mantenerci pronti e concentrati per 80 minuti - possiamo fare delle belle partite. Certo, dopo la vittoria in Scozia avremmo dovuto confermarci, almeno a livello di prestazione. Dobbiamo lavorare sulla continuità, altrimenti non costruiremo mai una mentalità vincente.
Ricordiamoci che questo è l'anno del Mondiale, che ogni partita si gioca anche in funzione di quello che ci aspetterà in Inghilterra tra settembre e ottobre. Bisogna giocare ogni match in azzurro pensando che potrebbe anche essere l'ultimo e nello stesso tempo porsi il traguardo di andare alla Coppa del Mondo e di fare bene. Abbiamo di fronte l'insegnamento di Mauro Bergamasco, che domani diventerà il giocatore più longevo di sempre nel torneo. In 15 anni la Nazionale ha schierato tante terze linee di livello internazionale, ma lui è sempre rimasto nel giro e non si è mai risparmiato.
Posso dire che è un onore in più essere il capitano di Mauro per quella che - secondo quanto ha annunciato - sarà la sua ultima partita nel Sei Nazioni. Sì, perché domani la fascia tocca a me. Mi spiace ovviamente per Sergio Parisse, che non è riuscito a recuperare. Sappiamo quanto conta per noi. Per quanto mi riguarda non ho piani prestabiliti. Prima della partita aspetterò le sensazioni del momento. Cercherò di capire il gruppo, di “sentirlo”. Magari sarà sufficiente una parola, magari neanche quella. E poi per un capitano, più di ogni altra cosa, conta l'esempio che è in grado di dare in campo.
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