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Il presidente inaffondabile. E se venerdì fosse rieletto?

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Il presidente inaffondabile. E se venerdì fosse rieletto?

Lo scandalo che vede coinvolti i vertici della Fifa, e lo stesso Joseph Blatter indagato anche se non direttamente coinvolto nell’indagine in corso, dovrebbe a rigor di logica mettere la pietra tombale sulla possibilità di rielezione (sarebbe la quinta consecutiva) del dirigente svizzero alla guida della Fifa, il massimo organismo di governo del calcio mondiale.

Dovrebbe, ma non è detto che sia così. Trattandosi di Blatter il condizionale è d’obbligo: dato per spacciato più volte nel corso della sua carriera all’interno della Fifa, ha sempre saputo liberarsi dei suoi oppositori. Qualche volta alle elezioni, dominate fin dal primo tentativo nel 1998 quando subentrò a un altro grande vecchio, il brasiliano João Havelange. Qualche volta scoraggiando a tal punto i possibili avversari da costringerli a non presentarsi al voto decisivo, vista l’impossibilità di competere.

Le voci su presunte irregolarità sono iniziate proprio nel 1998, con la sconfitta del suo rivale numero uno: lo svedese, all’epoca presidente dell’Uefa, Lennart Johansson. Polemiche inutili, si disse allora, ma quattro anni dopo ecco di nuovo lo stesso copione. Blatter rieletto e la bufera con esplicite accuse di corruzione da parte del presidente della Federcalcio somala e vicepresidente della Confederazione Africana del Calcio, Farra Ado, che sostenne di aver ricevuto un’offerta di centomila dollari per votare Blatter. Anche quella volta nulla di fatto e vicenda sepolta.

Blatter ha sempre saputo salvarsi da scivoloni che avrebbero bloccato chiunque altro: ha rifiutato di premiare l’Italia campione del mondo nel 2006, confessando qualche anno dopo di averlo fatto perchè gli azzurri non meritavano il titolo. Nel 2011 ha definito «una sciocchezza» il dibattito sul tema del razzismo sui campi da gioco, cavandosela chiedendo scusa mentre tutti volevano le sue dimissioni. Nel 2013, quando erano in preparazione i mondiali in Brasile, a proposito delle manifestazioni di protesta che si tenevano nel Paese contro i costi eccessivi e le condizioni di lavoro di chi stava costruendo gli stadi se ne uscì con un lapidario: «Il calcio è più importante dell’insoddisfazione delle persone». Conseguenze? Nessuna. O meglio, la decisione di proporre la propria candidatura per la quinta volta consecutiva. Unico sfidante rimasto il principe di Giordania, Ali bin Al Hussein. Tutti gli altri hano mollato prima.

Contro Blatter si sono appena schierati, tra i molti che l’hanno fatto, due signori che di calcio qualcosa capiscono: Michel Platini e Diego Armando Maradona, uniti contro il presidente Fifa come non sono mai stati sul campo. Eppure venerdì, se per caso dall’urna elettorale uscisse di nuovo il nome di Joseph Blatter, non ci sarebbe da stupirsi. Perchè a votare sono i presidenti delle singole Federazioni, che hanno un voto a testa indipendentemente dal peso della loro Federazione. Brasile, Italia, Germania e Argentina, tanto per chiarire e fare qualche esempio, pesano come tutti gli altri. Democrazia, ovviamente, che Blatter ha però saputo sfruttare a suo vantaggio costruendo una fitta rete di relazioni con i rappresentanti di Paesi minori da un punto di vista calcistico, in grado però di contrastare attraverso la somma dei numeri i rivali del presidente.

Come? Beneficiando le suddette Federazioni, spesso povere e in difficoltà economiche, in tutti i modi possibili e immaginabili. Nulla di illecito, o di chiaramente illecito, perchè anche la distribuzione di denaro e vantaggi «a pioggia» può essere visto e giustificato come un modo elegante e generoso di applicare la democrazia. Peccato che poi, la stessa democrazia, sia servita a far rieleggere Blatter una volta dopo l’altra. Così come potrebbe riuscirci ancora venerdì prossimo. Inaffondabile. Fino a prova contraria.

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