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Cassazione: Berlusconi ignorava che Ruby fosse minorenne

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le motivazioni della sentenza

Cassazione: Berlusconi ignorava che Ruby fosse minorenne

Sono «affidabili» gli «elementi probatori» che escludono che l'ex premier Silvio Berlusconi fosse consapevole che Ruby era minorenne quando frequentava Arcore. Lo scrive la Cassazione nelle motivazioni, depositate oggi, di conferma del proscioglimento di Berlusconi dall'accusa di prostituzione minorile e concussione aggravata. Ad avviso dei supremi giudici, correttamente, la Corte di Appello di Milano ha ritenuto, tra gli elementi «esclusivi della consapevolezza da parte dell'imputato della minore età» di Ruby, l'«aspetto fisico» della ragazza marocchina e il suo «modo di comportarsi» che «non tradivano minimamente la sua età effettiva». Inoltre, Ruby aveva «l'abitudine a fornire false generalità» e ad attribuirsi una età «di volta in volta diversa, dai 19 ai 27 anni». Agli amici aveva detto di «avere sempre taciuto» la sua minore età a Berlusconi.

Cassazione: Berlusconi non sapeva di minore età Ruby
Resta perciò «tutto da provare se, come e quando il dato della minore età di Karima El Mahroug venne portato a conoscenza di Silvio Berlusconi prima della sera del 27 maggio 2010», cioé quando la giovane marocchina, più conosciuta come Ruby, venne fermata dalla polizia perché accusata da un'amica convivente di averle sottratto del denaro. È un passo della motivazione della sentenza con cui il 10 marzo scorso i giudici della sesta sezione penale della Corte di Cassazione hanno confermato l'assoluzione dell'allora premier dai reati di prostituzione minorile e concussione aggravata decisa dalla corte d'appello di Milano il 18 luglio 2014.

Fede e Mora si approfittavano di Berlusconi
Ad avviso della Cassazione, «non va sottaciuta, l'ambivalenza dei rapporti tra Fede e Berlusconi» che da parte del primo «non erano totalmente disinteressati» ma «motivati da opportunità di ritorno economico, che si materializzavano nell'ambito di quel sistema di spregiudicati intrattenimenti in Arcore a margine dei quali si approfittava anche della disponibilità del padrone di casa, cui non mancavano cospicue risorse finanziarie» per soddisfare le richieste di aiuto dello stesso Fede e di Mora.

«Accertato l'interesse personale e utilitaristico di Emilio Fede ad alimentare e preservare il sistema delle disinvolte serate di Arcore», con «motivazione immune da vizi», la Corte di Appello - afferma la Cassazione- ha ritenuto che «nulla accreditava l'ipotesi accusatori secondo cui Fede, in contrasto con i propri interessi, avrebbe rivelato a Berlusconi la minore età» di Ruby. Farlo avrebbe «messo a rischio, almeno in astratto, la partecipazione di Ruby alle serate che Fede tramite Mora promuoveva e incentivava». Recependo le conclusioni dei giudici di secondo grado, la Cassazione spiega che Berlusconi diventa consapevole della minore età di Ruby (che aveva già preso parte ad almeno otto serate ad Arcore) soltanto quella sera del 27 maggio 2010, quando la ragazza viene portata in questura per accertamenti e l'allora premier contatta telefonicamente Pietro Ostuni (capo di gabinetto del questore di Milano) per riferire che Ruby gli era stata segnalata come nipote dell'allora presidente egiziano Mubarak e che poteva essere affidata alla consigliera regionale Nicole Minetti.

Esclusa la concussione
Perché vi sia il reato di concussione, sottolineano i giudici della Suprema Corte, «è necessario dimostrare che il pubblico ufficiale abbia abusato della qualità o dei suoi poteri, esteriorizzando concretamente un atteggiamento idoneo a intimidire la vittima, tanto da incidere negativamente sulla sua integrità psichica e sulla sua libertà di autodeterminazione. Di tutto ciò non c'è prova». Da parte di Silvio Berlusconi, insomma, non «c'è stato alcun abuso costrittivo»: l'ex premier, come riferito dallo stesso Ostuni, «si limitò a segnalare il caso» di Ruby e «a indicare la persona che, portandosi in Questura, si sarebbe potuta far carico della ragazza minorenne fermata. Né può concretamente ravvisarsi efficacia induttiva nel riferimento fatto da Berlusconi all'asserita parentela della giovane con il presidente egiziano, circostanza rivelatasi, nel breve volgere di qualche minuto, falsa e quindi priva di qualunque idoneità ad ingannare il funzionario e ad indurlo a soddisfare la richiesta rivoltagli.

Secondo i giudici, «il meccanismo motivazionale che, a seguito dell'intervento di Berlusconi, orientò la condotta di Ostuni viene individuato nella combinazione sinergica di più fattori, quali timore riverenziale o autoindotto, timore di non sfigurare, mera compiacenza». E del resto lo stesso funzionario di polizia «ha escluso di essere stato destinatario di un ordine cogente, da lui avvertito come ineludibile».


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