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Mafia capitale, 200 milioni nel mirino della holding criminale

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La corruzione a roma

Mafia capitale, 200 milioni nel mirino della holding criminale

Il secondo round dell’inchiesta Mafia Capitale scolpisce con il massimo rilievo la caratteristica economica dell’impresa mafiosa romana di Buzzi & co. Le carte giudiziarie dell’indagina guidata da Giuseppe Pignatone dimostrano le prassi consolidate e aggiornate di corruzione nello scenario della criminalità organizzata. Emerge questa volta, ripetuto più volte, il reato di turbativa d’asta. Il cartello di imprese - mafiose - è la regola: condizione efficiente ed efficace per spuntare il finanziamento pubblico. Poco importa il colore politico dell’amministrazione: le intercettazioni testimoniano la necessità, per la holding criminale, «di avere un capo dipartimento che conosciamo, per noi è molto importante» dice Buzzi in un sms.

Il servizio Recup (Prenotazioni prestazioni sanitarie Regione Lazio) vale 90 milioni, un’occasione troppo ghiotta: è lo stesso governatore Nicola Zingaretti a farlo saltare dopo aver incontrato il numero uno dell’anticorruzione, Raffaele Cantone, a fine dicembre. Certo è che l’associazione d’impresa mafiosa lavora anche su filoni meno esposti di quello della sanità: diversifica il rischio con un portafoglio di investimenti - criminali - sui fondi per l’immigrazione a La Cascina; l’appalto al Cara di Mineo (centro di assistenza per i richiedenti asilo) da 96 milioni, tanto che ieri Cantone ha scritto al ministro dell’Interno Angelino Alfano; i rifiuti e gli appalti milionari gestiti dall’Ama; la gestione delle spiagge di Ostia. Corruzione - e turbativa d’asta - anche sulle convenzioni per la cosiddetta emergenza abitativa, e quella legata alla dimissione del patrimonio immobiliare.

Sanità, immobili, ambiente, immigrazione: c’è l’imbarazzo della scelta. Finiti, insomma, i tempi dei grandi finanziamenti pubblici, compresi quelli comunitari, dove era meno difficile occultare stecche e sovraffatturazioni, oggi la strategia dell’impresa mafiosa si fonda sulla relazione d’interessi personale, ma di sistema, più o meno sottaciuta. La catena politica-burocrazia-malavita organizzata si tiene tutta insieme, altrimenti non regge e si spezza. Fonti qualificate dell’inchiesta osservano stupite che «a volte l’impressione è che i soggetti si muovano senza rendersi conto che si tratta di reati». Incredibile, ma è la condotta abituale, quasi la regola.

Ma c’è un'altra tegola che rischia di abbattersi sull’amministrazione comunale di Roma. Meno clamorosa dell’inchiesta della procura, molto più silenziosa ma non meno minacciosa: è la relazione finale della commissione di accesso agli atti del Campidoglio, presieduta dal prefetto Marilisa Magno. Un gruppo di lavoro che oltre a Marilisa Magno è composto da un viceprefetto e un dirigente dell’Economia, più un nucleo di poliziotti, carabinieri e finanzieri. La commissione è stata nominata il 15 dicembre dall’allora prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro, e a metà giugno consegnerà i risultati al suo successore, Franco Gabrielli. A sua volta, Gabrielli trasmetterà il documento al ministro dell’Interno, Angelino Alfano. Il prefetto Magno è stata sentita in audizione alla comissione antimafia, presieduta da Rosy Bindi, il 12 maggio scorso. Ma il verbale della riunione non è pubblico perchè, su richiesta della stessa Magno, l’audizione è stata tutta secretata. Per forza: la materia è la stessa sottoposta alle indagini dell’autorità giudiziaria e l’accesso agli atti comunali della commissione prefettizia- un controllo di documenti per centinaia di migliaia di pagine - potrebbe avere, in teoria, effetti terrificanti. Ma l’estrema conseguenza, lo scioglimento del comune di Roma per infiltrazione mafiosa, è escluso, senza alcun dubbio, almeno per ora: un’ipotesi devastante, insostenibile per l’immagine dell’Italia. Il lavoro di setaccio e controllo degli atti del Campidoglio, svolto dai commissari, resta comunque spaventoso: con quella che, a tutti gli effetti, è un’inchiesta amministrativa, l’accesso agli atti è in grado di confermare e illuminare, ancora di più, la ricognizione investigativa svolta dai carabinieri dell’Anticrimine del Ros di Roma, fondamento dell’ipotesi accusatoria della procura. Ora, che dalla relazione prefettizia emergano pesanti anomalie e irregolari amministrative gravi è un fatto quantomeno scontato. Più interessante sarà notare quali saranno i rilievi di merito. È un fatto ormai noto, per esempio, che Buzzi & soci hanno avuto un rapporto di sostanziale continuità con l’amministrazione capitolina, nel passaggiotra la giunta Alemanno e quella Marino. Meno noto, ma in realtà non così segreto, è l’uso, per esempio, di ricorrere al frazionamento degli appalti: trucco semplice per abbassare la soglia di gara e poter affidare la commessa in modo diretto. Si parla di almeno due gare del Comune nel settore ambientale da oltre un milione di euro frazionate, ciascuna, in dieci lotti: il gioco così è fatto.

Un altro paravento amministrativo usato e abusato è quello del ricorso alla procedura di somma urgenza. Se ne è fatto largo uso, per esempio, per la potatura degli alberi a Ostia e anche qui gli importi superano il milione di euro. Chi è esperto di norme sugli enti locali afferma con tranquillità che «se si fosse trattato di un altro comune, sarebbe stato subito sciolto». Roma è un caso troppo speciale. Ma questo non potrà significare l’elusione delle responsabilità. Penali, amministrative e politiche.

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